Il calendario è una delle espressioni del tempo, e, per di più, è sicuramente la più importante di queste. Il calendario è ciò che è definito "la memoria ritmica dell'umanità." [...] la storia del calendario giuliano ecclesiastico è inseparabilmente collegata ai cicli pasquali.
Fin dall'antichità, l'uomo si è inchinato di fronte al mistero del tempo, cercando di sondarlo. Il tempo gli sembrava qualcosa di profondamente ostile, che richiedeva sacrifici cruenti (come per gli Aztechi), oppure un'arena della lotta tra caos e cosmos, oppure un sogno magico (tempo del sogno) che faceva tornare al passato oscuro dei primordi totemici.
Le leggende e i miti ci portano l'eco di antiche nozioni del tempo. L'uomo temeva o deificava il tempo, impartendogli le forme più diverse: un raggio, che penetra l'oscurità; una freccia, che vola dal futuro al passato; catene, o circonferenze. Molto spesso, il tempo era concepito come un numero; talvolta, come tra gli orfici e i celti, era rappresentato con il suono o con la musica. Così, il dio celtico, Dagda, richiamava le varie stagioni dell'anno suonando su un'arpa vivente di quercia. (1) C'è una concezione poetica del tempo con la quale si compie qualche tentativo di risolvere la disputa tra tempo ed eternità: «La morte e il tempo regnano sulla terra: non chiamarli maestri» (Vladimir Soloviev).
Il tempo si riflette in immagini metaforiche nei miti cosmogonici, antropogenici ed eziologici [lo studio delle origini delle malattie]. L'uomo intuiva che qualcosa di molto importante era collegato con il tempo: l'inizio e la fine; la sua memoria e speranza. Il sogno di spiegare il tempo e di padroneggiarlo si riflette anche nella "macchina del tempo" della fantasia moderna, che permetterebbe di vagare liberamente in questo regno insondabile.
Da Crono alla teoria di Einstein, l'umanità ha fatto un lungo cammino, senza mai essere in grado di svelare appieno l'enigma dell'essenza del tempo. Come oggetto secolare di riflessioni filosofiche e scientifiche, il tempo resta indeterminato come categoria. In verità, gli viene attribuita una categoria apparentemente indubitabile (la durata); ma spesso anche questa si rivela una finzione. Così, la teoria della relatività si basa, come ben si sa, sul concetto di tempo-spazio a quattro dimensioni, laddove l'asse temporale è immaginario.
Si può parlare del tempo della creazione del mondo, se l'atto stesso della creazione non entra tra le cause del fenomeno? Trascendente per natura, tale atto sorpassa ogni nozione umana di spazio e tempo. Nel parlare del "principio" dell'esistenza, l'uomo è forzato a fare ricorso alla categoria del tempo, per rimanere entro una cornice di pensiero a lui consueta.
Le definizioni razionali del tempo equivalgono a delle tautologie più o meno camuffate. Dopo tutto, dire che il tempo è l'ordine dei fenomeni nella loro sequenza, equivale a definire il tempo per mezzo del tempo (2).
È possibile che il tempo sia una strada; ma dove conduce? (3) Quando misuriamo il tempo, da dove viene, prima che siamo in grado di misurarlo? Che direzione prende e dove va quando ci lascia? Il Beato Agostino si accostò al mistero del tempo: «In te, anima mia, io misuro i tempi.» Secondo il Beato Agostino, i tre stadi di un'azione che avvengono nell'anima umana – attesa, contemplazione, e ricordo (memoria) – producono la «triplicità del tempo». Tuttavia, la nostra consapevolezza percettiva (anima) non genera il tempo stesso; esso deve il suo sorgere alla Sostanza eterna, il Creatore: «Anche il tempo è opera Tua.» (4)
Un millennio e mezzo or sono, il Beato Agostino disse in un linguaggio così chiaro e sublime ciò che gli uomini del ventesimo secolo hanno cercato di esprimere per mezzo di complesse formule matematiche. Riguardo al tempo, essi giungono al fatto che la nostra percezione, così come la più recente versione dell'ontologia (la funzione ondulatoria della meccanica dei quanti), si sviluppa nel tempo; ma esiste uno strato successivo (la fonte della "luce") laddove questo concetto è privo di significato. (5)
Dio è la riconciliazione delle antinomie. L'amore sovrasta il tempo, e non è questo che dice anche il Signore attraverso l'apostolo Giovanni, riguardo alla vita alla quale ci chiama: non vi sarà più tempo (Ap 10,6)?
E allora, che cos'è il tempo? «Sembra che non ci sia niente di più chiaro e ordinario,» dice il Beato Agostino, «ma nel frattempo, in essenza, non c'è nulla di più incomprensibile e nascosto e provocatorio per il pensiero.» (6)
L'uomo, nel contemplare la natura e se stesso, ha visto che il morire cede il posto alla vita; e poi, le forze della vita fanno posto alla disintegrazione e alla morte. La custodia della vita era un miracolo attualizzato nei rituali. Per mezzo dei rituali, la vita della creazione e dell'uomo veniva armonizzata. I ritmi naturali dell'universo hanno trovato riflesso nelle festività rituali. Il rituale è collegato con il ritmo, così come è collegato anche con la memoria. Da qui proviene il calendario come incarnazione del ritmo che unisce macrocosmo e microcosmo.
Il calendario è una delle espressioni del tempo, e, per di più, è sicuramente la più importante di queste. Il calendario è ciò che è definito "la memoria ritmica dell'umanità." (7)
Nel rimarcare il millennio del Battesimo della Russia, è impossibile sorvolare in silenzio la questione del calendario giuliano, che ha pure esso una storia millenaria in Russia. Molti si pongono la domanda: perché la Chiesa Ortodossa Russa, nonostante tutte le riforme del calendario, continua a vivere con lo stesso calendario con il quale vivevano l'antica Russia e tutto l'Occidente cristiano medioevale? Solo un'attitudine di pregiudizio potrebbe far sì che qualcuno lo veda come un fenomeno che nasce dall'idealizzazione tradizionale del passato, o dall'arretratezza, come alcuni sostengono, evitando in tal modo una risposta seria. Noi cercheremo di indagare le ragioni della sorprendente vitalità del calendario giuliano in Russia.
Come ben si sa, questo sistema di cronologia giunse in Russia da Bisanzio. Il calendario giuliano ecclesiastico rappresenta la sintesi bizantina dell'eredità astronomica e calendariale dell'antica Babilonia e dell'antico Egitto, con il contributo accademico dei Padri della Chiesa alessandrina, che accolsero la sua implementazione all'epoca del Santo Imperatore Costantino il Grande, Isoapostolo.
Questo sistema di calcolare il tempo, che combina organicamente in sé il calendario giuliano e i cicli pasquali alessandrini (Paschalia), fu chiamato la "Grande Indizione" (o Grande Proclamazione) a Bisanzio, il "Circulus Magnus" in Occidente, e il "Ciclo della Creazione" in Russia.(8)
Nel parlare del calendario, è necessario sottolineare come già da tempo immemorabile il calendario era compreso non solo come uno strumento per misurare il tempo, ma anche come qualcosa che organizza il tempo e definisce il pulsare della vita cosmica, storica e biologica. Gli antichi lo compresero; non per nulla i sacerdoti, gli astronomi, gli astrologi e i matematici erano circondati da una venerazione universale, fino ai Magi del Vangelo, che, essendo "istruiti da una stella," vennero ad adorare il divino Cristo-Bambino. Riflettendo le rivelazioni del cielo, il calendario santificava le vite dei popoli e dava un ritmo definito alla loro esistenza.
Dopo l'incarnazione di Dio il Verbo, il tempo divenne per i cristiani tempo di salvezza: esso trovò uno scopo. Il tempo venne in contatto con l'eschaton e ne fu penetrato. Avvenne la santificazione del tempo. Il calendario sacro del Medio Evo subordinava a sé non solo il tempo, ma anche l'intera struttura della vita. A partire dal IV secolo dopo Cristo, tutta la vita liturgica delle Chiese inizia a essere inseparabilmente legata al calendario giuliano ecclesiastico. Per oltre un millennio, questo calendario universale fu il calendario di tutta la parte occidentale del mondo conosciuto (ecumene) e rimane tuttora il calendario della Chiesa Ortodossa Russa.
Si dovrebbe notare come i calendari da noi noti – quello giuliano e, dalla fine del XVI secolo, quello gregoriano – devono la loro esistenza ai calcoli che determinano il tempo della celebrazione della Pasqua. Questa circostanza è tanto più significativa per il fatto che, nel secolarizzato mondo moderno, il tempo è determinato da fattori scientifici, socio-economici, politici e di altro genere, che non hanno alcunché in comune con il lato spirituale della vita.
Nella cronologia cristiana vi è un centro del tempo. Si tratta dei giorni 14, 15 e 16 di Nisan (marzo-aprile): date che cambiarono il tempo del mondo. Queste tre date determinano tutta la teologia cristiana del tempo. «Con la crocifissione di Gesù Cristo (14 di Nisan), morì l'umanità del Vecchio Testamento; mentre con la sua risurrezione (16 di Nisan), nacque il cristianesimo.» (9)
Il tempo della Chiesa cattolica ortodossa, essendo tempo di attesa della risurrezione, già dai primi secoli del cristianesimo è concentrato intorno alla festa principale: la Santa Pasqua. Perciò, la storia del calendario giuliano ecclesiastico è inseparabilmente collegata ai cicli pasquali.
La Santa Pasqua è storicamente legata alla festa del Passaggio dell'Antico Testamento, che veniva celebrata alla luna piena del mese di Nisan (corrispondente al nostro marzo), il primo mese dell'antico calendario lunare biblico. Durante la sua vita terrena, il nostro Salvatore Gesù Cristo visse secondo questo calendario. Alla luna piena del mese di Nisan, il Signore, insieme a tutto l'Israele dell'Antico Testamento, venne e Gerusalemme per la festa della Pasqua. Precisamente in questo tempo, egli fu pure tradito, giudicato, crocifisso e risuscitato. (10)
Nell'anno della morte del nostro Signore sulla croce, la Pasqua ebraica cadde di venerdì e di sabato. Il Salvatore fu crocifisso venerdì 14 Nisan, che, per il computo della Chiesa, [liturgicamente] inizia ora alla sera del giovedì; nel sabato fu nella tomba, e al mattino presto del primo giorno della settimana - il 16 di Nisan - egli risorse. Pertanto, gli eventi della passione, morte e risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo sono inseparabilmente collegati con la Pasqua ebraica. Ciò fu perpetuato dai santi Apostoli, che prescrissero che la Pasqua cristiana venisse celebrata in seguito alla Pasqua ebraica, dopo l'equinozio di primavera (Canone VII dei Santi Apostoli).
Tra i primi cristiani rimanevano ancora non pochi aderenti ai riti dell'Antico Testamento. Così, le chiese dell'Asia Minore (la loro metropoli era Efeso) celebravano la Santa Pasqua insieme con gli ebrei il 14 di Nisan, che cadeva ogni anno in un giorno differente della settimana. Tuttavia, altre chiese locali (Alessandria, Antiochia, Roma, Cesarea e Gerusalemme) celebravano la Pasqua nella prima domenica che seguiva il 14 di Nisan, conservando la sequenza neotestamentaria degli eventi sacri.
Sorsero controversie riguardo al problema che tutti i cristiani celebrassero la Santa Pasqua allo stesso tempo, controversie che divennero particolarmente acute alla fine del secondo secolo, sotto il Vescovo di Roma, Vittore. Il Vescovo Vittore non considerava ammissibile celebrare la Pasqua secondo il computo delle chiese dell'Asia Minore, e chiese una sospensione della comunione con loro. Fortunatamente, la saggia ammonizione di Sant'Ireneo di Lione prevenne una rottura tra le chiese. Solo un piccolo gruppo, composto da aderenti del rito dell'Asia Minore, formò la setta dei "quattordicisti" o quartodecimani. Dall'anno 325, tutti i cristiani della Chiesa Cattolica Ortodossa iniziarono a celebrare la Pasqua solo alla domenica, anche se non ancora sempre allo stesso tempo.
A causa dell'eresia ariana, e così pure per la risoluzione delle controversie sui cicli pasquali, fu convocato il primo Concilio Ecumenico di Nicea (anno 325). Il testo degli atti di questo concilio non è stato conservato; tuttavia, sulle basi di certi documenti che ci sono pervenuti, è possibile formulare un giudizio riguardo alle decisioni in esso prese riguardo alla celebrazione della Pasqua. (11) Tra questi documenti, si possono ricordare: l'epistola del Concilio di Nicea alla Chiesa di Alessandria; l'epistola di San Costantino il Grande, Isoapostolo, ai vescovi non presenti al Concilio; e diversi passi dalle opere di Sant'Atanasio il grande, che fu egli stesso uno dei partecipanti al primo concilio ecumenico. Nella sua epistola ai vescovi africani (capitolo 2), egli scrive: «il Concilio di Nicea fu convocato riguardo alla questione della Pasqua, poiché i cristiani in Siria, Cilicia e Mesopotamia non erano d'accordo con noi, e celebravano la Pasqua al tempo stesso in cui la celebravano gli ebrei» (Migne, Patrologia Graeca XXVI 10). Il decreto del Concilio di Nicea riguardante la Pasqua è contenuto altresì nelle testimonianze dei Santi Padri (partecipanti al Concilio o a questo vicini nel tempo), in Eusebio di Cesarea, un contemporaneo e testimone oculare del Concilio, e nelle decisioni del Concilio locale di Antiochia (anno 341). Per questa ragione, le asserzioni fatte dei sostenitori dei cicli pasquali riformati, ovvero che il decreto del primo Concilio Ecumenico sulla celebrazione della Pasqua è andato irrimediabilmente perduto, sono tendenziose e storicamente non corrette.
I 318 Santi Padri del Concilio di Nicea formularono un decreto (horos) riguardo alla Pasqua, che proibiva la sua celebrazione assieme agli ebrei, e che viene indicato dalla chiara citazione del Canone I del Concilio di Antiochia: «Che tutti coloro che osano violare il decreto del santo e grande Concilio che fu in Nicea ... riguardo alla santa festa della salvifica Pasqua, siano esclusi dalla comunione (scomunicati) e scacciati dalla Chiesa, se continuano, in uno stile di amore della contesa, a contrastare i buoni decreti. E questo è detto a proposito dei laici. Ma se, dopo questo decreto, uno di coloro che presiedono nella Chiesa, un vescovo, o presbitero, o diacono, osasse esercitare il proprio giudizio e celebrare la Pasqua con gli ebrei, a sovversione del popolo e a disturbo delle Chiese, il Santo Concilio d'ora in poi condanna costui a essere alieno dalla Chiesa, essendo divenuto non solo causa di peccato per sé, ma anche causa di disordine e della perversione di molti. E il Concilio depone dal sacro ministero non solo tali persone, ma anche tutti coloro che osassero essere in comunione con loro dopo la loro espulsione dal sacerdozio. E coloro che vengono così espulsi devono anche essere privati dell'onore esterno del quale erano partecipi secondo il santo canone e il sacerdozio di Dio.» (12)
E' ben noto che la decisione del Concilio di Nicea riguardo alla data della Pasqua non figura tra i venti canoni di questo Concilio che sono giunti fino a noi. Tuttavia, la decisione non figura tra i canoni proprio perché non si tratta di un canone, ma di un documento di significato più importante, vale a dire un decreto (horos). (13)
Nella sua epistola ai vescovi che non erano stati presenti al Concilio, Costantino il Grande dice che, «secondo l'opinione comune, si è riconosciuto che è meglio celebrare» il giorno della Santa Pasqua «tutti e ovunque nello stesso giorno, in quanto in una questione così importante... è molto sconveniente mostrare disaccordo. Il Salvatore ci ha lasciato un giorno [per la commemorazione] della nostra liberazione... che la sagacia delle Santità vostre rifletta su quanto sia biasimevole e indecente che negli stessi giorni alcuni facciano digiuno, mentre altri stanno celebrando feste...» (14)
La compilazione dei cicli pasquali fu affidata alla Chiesa di Alessandria, la più erudita dell'antichità. Il problema affrontato dagli studiosi dei cicli pasquali era enormemente difficile. La sua complessità stava nel fatto che, nel compilare il calendario, essi dovevano tenere conto di requisiti di natura liturgica e storica. I Santi Padri risolsero questo problema in modo brillante.
Facendo uso della «mistura di eredità calendariali e astronomiche delle culture egiziana e babilonese, che era stata raffinata dalla scuola dei rinomati astronomi greci (da Metone a Ipparco), (15) essi crearono un capolavoro di arte calendariale - il calendario giuliano ecclesiastico, del quale il noto astronomo russo, E.A. Predtechensky, disse che "era tanto bene eseguito, da rimanere tuttora insuperato. I successivi cicli pasquali romani, accettati ora dalla Chiesa occidentale sono, a paragone di quelli alessandrini, tento ponderosi e goffi, da far venire in mente una stampa a poco prezzo di fronte a una raffigurazione artistica dello stesso soggetto. Per di più, questo meccanismo terribilmente complesso e impacciato non raggiunge nemmeno il suo scopo dichiarato.» (16)
Vediamo su cosa è basata la dichiarazione appena citata. Allo stesso tempo, cerchiamo una volta per tutte di essere liberi da preconcetti; nel caso in questione, cerchiamo di dare uno sguardo critico al calendario gregoriano che è accettato da tutte le nazioni moderne. Sapendo che solo gli argomenti di un certo peso sono in grado di far fronte a un'opinione preconcetta, soffermiamoci su un'analisi dei compiti (prima di tutto, quelli astronomici) che avevano di fronte a loro i compilatori cristiani, creatori del calendario giuliano ecclesiastico universale.
Come base dei cicli pasquali, i loro compilatori presero il calendario giuliano, così chiamato in onore di Giulio Cesare, che con l’aiuto del rinomato astronomo Sosigene introdusse la nuova cronologia nell’anno 46 a.C. Il grande merito di questo calendario sta nel fatto che possiede un’alternanza ritmica di tre anni semplici (ciascuno di 365 giorni) con un anno bisestile che contiene 366 giorni. Oltre a questo ritmo invariabile e così prezioso (il ritmo è la base di qualsiasi calendario), il calendario giuliano ha una particolarità: in esso, ogni 28 anni i giorni della settimana cadono nelle stesse date dei mesi (cosa importante per i cicli pasquali). Questo calendario di Giulio Cesare, orientato sul sole, fu usato per un periodo relativamente breve: dal 46 a.C. fino al Concilio di Nicea. Dopo le riforme intraprese dai compilatori dei cicli pasquali (di cui parleremo più avanti), il calendario di Giulio Cesare si trasformò nello stesso calendario ecclesiastico giuliano, che l’intero mondo cristiano usò fino alla riforma gregoriana, e dal quale fino a oggi viene determinata la vita liturgica della Chiesa Ortodossa Russa.
Gli studiosi di cicli pasquali a Nicea erano familiari con la cosiddetta “regola d’oro” della cronologia, stabilita dall’antico astronomo greco Metone, e che permetteva un allineamento preciso dei calendari lunare e solare. Nel 433 a.C., Metone calcolò che diciannove anni solari (vale a dire, 6939,75 giorni) erano equivalenti a diciannove anni lunari contenenti 6940 giorni, a condizione che nel corso dei diciannove anni lunari venga inserito per sette volte un mese lunare supplementare (embolismico). Gli astronomi sanno che il movimento della luna è piuttosto complesso, e che il computo delle sue fasi che abbraccia periodi prolungati, richiede grandi conoscenze in materia astronomica, e un’esperienza basata su osservazioni prolungate per molti secoli. Il ciclo lunare di diciannove anni, noto con il nome di “ciclo metonico”, è considerato un capolavoro dell’astronomia mondiale. E’ di grande valore per i cicli pasquali, poiché le fasi della luna attraverso ogni ciclo di diciannove anni cadono negli stessi giorni del calendario giuliano solare (17).
E così, nella compilazione dei cicli pasquali, fu preso in considerazione il ciclo lunare di diciannove anni. Per di più, nel ciclo di Metone e Sosigene fu introdotta la cosiddetta “correzione di Callippo”, che portava la durata dell’anno solare e del mese lunare in pari al loro vero valore astronomico. La riforma che fu accettata riuscì a soddisfare immediatamente i requisiti di entrambi i computi: quello lunare e quello solare.
I compilatori dei cicli pasquali ortodossi ebbero altresì da correlare il ritmo lunare con la settimana (il ciclo di sette giorni), per preservare la sequenza degli eventi neotestamentari collegati ai giorni finali della vita terrena di Gesù Cristo, tenendo in considerazione la connessione tra la Santa Pasqua e il Passaggio dell’antico Testamento. Nella sua brillante opera dedicata alla questione del calendario giuliano ecclesiastico, A.N. Zelinsky dice a questo proposito: “Si può dire senza esagerazione che, nella sua complessità, il compito che stava di fronte ai compilatori dei cicli pasquali a Nicea eccedeva di gran lunga le difficoltà connesse alla riforma giuliana o alla ‘correzione di Callippo’. (18)
Nel produrre i principi di cicli pasquali indipendenti dalla pratica ebraica, i compilatori ortodossi cercarono una divergenza tra il ciclo di Metone e Sosigene e la luna, e, di conseguenza, con il calendario ebraico. Questa divergenza fu raggiunta grazie al fatto che all’inizio di un ciclo di Callippo, l’epatta (ovvero l’eccesso dell’anno solare su quello lunare, circa 11 giorni: il progresso della luna all’inizio di un anno di calendario) non è stata ridotta su ogni ciclo di 304 anni. Nondimeno, a causa di ragioni astronomiche, ebbero ancora luogo, talvolta, coincidenze della Santa Pasqua con il Passaggio ebraico, fino all’anno 592. Per quanto riguarda la rarissime coincidenze della Pasqua Cristiana con il Passaggio ebraico che ebbero luogo fino all’anno 783, questo si spiega con il fatto che gli ebrei trasferiscono la data della loro festività, se questa cade di lunedì, mercoledì o venerdì. Questa circostanza aveva altresì causato le coincidenze precedenti. (19)
Tuttavia, a partire dall’anno 592, “tali coincidenze divennero impossibili non solo astronomicamente, ma anche secondo gli aspetti del calendario pasquale;” (20) La Santa Pasqua divenne una festa mobile; a questo punto, tutti i requisiti per la sua celebrazione vennero osservati con esattezza.
È eccezionalmente importante notare che non esiste alcuna istruzione precisa riguardo al sistema del calendario o a regole tecniche per determinare il tempo della celebrazione della Pasqua in queste decisioni dei Santi Padri. Il Prof. V.V. Bolotov ha dimostrato in modo sufficientemente chiaro e convincente che “il Concilio di Nicea non aveva alcun bisogno di emanare decisioni di natura puramente tecnica: ‘i fratelli orientali’ stessi sapevano come evitare di celebrare la Pasqua assieme agli ebrei. (21)
Anche il Padre Prof. D.A. Lebedev condivide l’opinione di questo eminente studioso: “Il Concilio non deliberò la questione del giorno della Pasqua in dettaglio... la decisione che gli viene di solito attribuita, quella di celebrare la Pasqua nella domenica successiva alla prima luna piena di primavera è solo una formulazione tardiva del principio dei cicli pasquali alessandrini: la Pasqua alla prima domenica dopo il quattordicesimo giorno del mese lunare, che non cada prima del giorno dell’equinozio primaverile, il 21 marzo (di conseguenza, nei giorni 15-21 del mese lunare).” (22) Anche A.I. Geogievsky, un ricercatore all’Accademia Teologica di Mosca, richiama l’attenzione su questo punto nel suo articolo “Sul calendario ecclesiastico.” (23) Il professor Liverij Voronov, dell’Accademia teologica di Leningrado, allo stesso modo nota questa circostanza nella sua opera “Il problema del calendario.” (24)
Il Concilio di Nicea “non rese uniforme per mezzo di un decreto la pratica per la determinazione del tempo della celebrazione della Pasqua.” (25) Questa circostanza ha un enorme significato per la controversia scientifica con coloro che combattono per la “correzione” del calendario giuliano ecclesiastico, citando il fatto che, come essi presumono, il principale fattore determinante dei cicli pasquali è l’equinozio di primavera, e, infallibilmente, la “prima luna piena” che viene dopo di esso. I sostenitori del “principio dell’equinozio”, che si appoggiano principalmente sul “sermone di Anatolio”, un documento greco anonimo e poco conosciuto del quarto secolo, dovrebbero tenere presente che, nelle tabelle alessandrine dei cicli pasquali, che furono in seguito accettate da tutta la Chiesa, l’equinozio primaverile non è un valore autosufficiente, come gli aderenti al calendario gregoriano cercano di dimostrare, ma unicamente un valore secondario e derivato, che serve come limite per determinare il mese di Abib (Nisan), e insieme con questo, l’inizio del nuovo anno pasquale.
Come è ben noto, il Passaggio dell’Antico Testamento era l’antico ricordo fatto in Israele della sua liberazione dalla schiavitù egiziana. Dai tempi di Mosè questa festa cadeva nel giorno dal 14 al 15 del primo mese lunare dell’anno, Nisan (o Abib), secondo l’antico calendario ebraico, vale a dire, nel giorno della prima luna piena primaverile. Tuttavia, si deve ricordare che “il mese di Abib non è un valore definito che ha la propria estensione fissa nell’anno, come il nostro marzo.” (26) Nelle Sacre Scritture, Abib è definito come “il mese delle nuove spighe” (Esodo 13:4) (27), in cui, secondo Levitico 23:10-16 e Deuteronomio 16:9, ogni ebreo doveva offrire al Signore il primo covone del raccolto - “il covone dell’offerta” - nel secondo giorno del Passaggio, alla festa degli Azzimi.
Le parole del Prof. Bolotov relative alla determinazione del tempo della celebrazione del Passaggio nell’Antico Testamento meritano attenzione: «Durante l’esistenza del Tempio e dei sacrifici, era impossibile riconoscere come mese del Passaggio, vale a dire, come Nisan, un mese nella cui luna piena l’orzo non poteva maturare nei dintorni di Gerusalemme.» (28)
Di conseguenza, il segno del mese del Passaggio di Abib, il “mese delle nuove spighe” secondo la Sacra Scrittura, è la maturazione delle nuove messi, e poiché il primo grano in Palestina, per osservazione, non matura prima dell’equinozio, non è possibile celebrare il Passaggio prima dell’equinozio di primavera. Quanto all’opinione che sia necessario celebrare la Pasqua immediatamente dopo l’equinozio, il Prof. Bolotov, citando la vera formula dei cicli pasquali, conclude che questo è “la pietra angolare della riforma gregoriana, sulla quale essa sta in piedi o cade.” (29) In aggiunta a ciò, non esistono termini per “equinozio” e “primavera” nell’antica lingua ebraica. La situazione geografica della Palestina è tale che vi sono solo due stagioni nell’anno: estate e inverno. “Così,” scrive il Prof. Bolotov nel suo rinomato rapporto, la natura stessa della Palestina offre la propria imparziale testimonianza che la riforma gregoriana altro non è che uno sbaglio grossolano, un peccato di incapacità di comprensione.” (30)
E così, che ci piaccia o no, le discussioni sul calendario giuliano ecclesiastico portano invariabilmente a polemiche con i sostenitori del calendario gregoriano. E poiché la questione del calendario, oltre a essere di interesse scientifico, lo è ancor di più dal punto di vista pratico e molto attuale, essendo strettamente legata con la vita della Chiesa e, in particolare, della Chiesa ortodossa russa, la più numerosa nel mondo ortodosso, cerchiamo di osservare i punti basilari di questo problema.
Come già indicato in precedenza, la raison d’être per la creazione del calendario giuliano ecclesiastico è collegata con la festa della Risurrezione del Signore - la Santa Pasqua. Il compito che i Santi Padri affrontavano consisteva nel designare questo giorno così “come lo designavano ai tempi di Gesù Cristo, e senza cadere in quegli errori che erano caratteristici della pratica giudaica nel terzo e nel quarto secolo.” (31)
Nostro Signore Gesù Cristo celebrò la Mistica Cena con i suoi discepoli in stretta aderenza alla tradizione ebraica. Tuttavia, l’ultima Pasqua dell’Antico Testamento celebrata da Cristo, a differenza di quella che la precedette, non fu celebrata con pane azzimo, ma con pane lievitato, in quanto il pane lievitato era permesso dalla Legge solo fino a dopo il mezzogiorno del 14 di Nisan. A quell’ora Nostro Signore era sulla Croce “nel mezzo della terra operando la salvezza di tutti coloro che con speranza invocano il suo santo nome.”
Sia la Mistica Cena che la Crocifissione di Cristo avvennero il giorno 14 di Nisan, il venerdì, secondo la suddivisione ebraica della giornata. Tuttavia, per il calendario giuliano romano, per il quale il giorno incomincia alla mezzanotte, la Cena Mistica di Cristo cade il giovedì, e la Crocifissione il venerdì. Il cristianesimo, avendo accettato il calendario giuliano dei romani, fece del Grande Giovedì il giorno della commemorazione della Mistica Cena e del Grande Venerdì il giorno della commemorazione della santa e salvifica Passione del Nostro Signore Gesù Cristo, (32) che corrisponde alla tradizione dei Vangeli sinottici [Matteo, Marco e Luca].
La Pasqua della Passione del Signore coincideva con il Passaggio dell’Antico Testamento; ma la Pasqua che annientò la potenza della morte, la Pasqua della Risurrezione, fu compiuta il terzo giorno dopo la crocifissione – il 16 di Nisan. La sequenza di questi eventi, che sono unici nella storia del mondo, non può essere alterata. Questa è una questione canonica di enorme importanza. La tradizione di osservare strettamente gli eventi sacri del Nuovo Testamento nella Chiesa ortodossa russa testimonia l’amore che essa ha per Cristo e la fedeltà alla Santa Tradizione e alle ingiunzioni dei Santi Padri.
La celebrazione cristiana della Santa Pasqua, che sostituì le prescrizioni dell’Antico Testamento, fu modificata in conformità con gli eventi del Nuovo Testamento e i decreti conciliari. Tuttavia, pur avendo conservato un legame storico con il Passaggio dell’Antico testamento, la festa della Risurrezione ne divenne totalmente indipendente.
Nel corso di un lungo periodo, oltre un millennio, i cristiani, usando un singolo calendario, furono uniti riguardo alla celebrazione della Pasqua. Ciò sosteneva l’unità della struttura originale della Chiesa, anche dopo l’anno 1054. “La riforma gregoriana del Calendario nell’anno 1582 per la prima volta violò l’unità cristiana relativa al calendario, e, in conseguenza di ciò, l’unità pasquale.” (33)
A questo proposito, citeremo le parole di San Giovanni Crisostomo: “L’esattezza nell’osservanza dei tempi non è così importante come l’offesa della divisione e dello scisma.” (34)
A questo punto è necessario far notare come il giorno dell’equinozio di primavera si sposta di uno ogni 128 anni, e le fasi della luna di un giorno ogni 310 anni. Ciò capita come risultato della processione del calendario, un fatto che era ben noto ai compilatori dei cicli pasquali. Tuttavia, a causa dell’impossibilità di unire i movimenti del sole e della luna in un sistema calendariale-astronomico, qualsiasi calendario è destinato a una maggiore o minore accuratezza. E, probabilmente, nessun astronomo è in grado di creare un calendario assolutamente accurato. Gli astronomi stessi lo confermano, con il fatto che ciascuno propone il proprio stile, distinto da quello degli altri. La disparità delle loro soluzioni, così come le loro contraddizioni, semina dubbi sulla correttezza della loro cronologia. (35) E’ ugualmente impossibile fissare qualcosa in un calendario per sempre; o altrimenti un tentativo simile sarebbe simile al progetto di tenere nello stesso posto le due lancette di un orologio in moto.
Qui ci accostiamo proprio al momento collegato con un simile tentativo di mantenere il punto dell’equinozio di primavera per un “tempo eterno” al 21 di marzo (nell’anno del Concilio di Nicea esso cadde il 21 di marzo). La riforma gregoriana fu intrapresa nell’anno 1582, anche con lo scopo di fissare l’equinozio di primavera. Papa Gregorio XIII emanò la bolla Inter gravissimas , che proclama: “E’ stata nostra intenzione non solo restaurare l’equinozio nel luogo per esso stabilito nell’antichità, dal quale ha deviato approssimativamente di dieci giorni dal tempo del Concilio di Nicea, e far tornare il quattordicesimo giorno della luna al proprio posto, dal quale diverge al presente di quattro o cinque giorni, ma anche di creare un metodo e delle regole per mezzo delle quali si ottenga che in futuro l’equinozio e il giorno 14 della luna non si muovano mai dal loro posto” [corsivo dell’autrice]. (36)
Tuttavia, tutti sanno bene che il sole e la luna sono in moto costante, e che perciò è impossibile trovare alcun “metodo e regole” in grado di fissare l’equinozio e “il giorno 14 della luna” per sempre.
Già sappiamo che il requisito principale chiesto fino dall’antichità per un calendario è il mantenimento del ritmo. Il ritmo ciclico e senza crepe del calendario giuliano è stato esaminato in precedenza. Ma ciò che è il merito di questo calendario costituisce il difetto principale di quello gregoriano. Quanto alla sua accuratezza astratta, essa “è stata ottenuta a un prezzo troppo alto.” (37) Dapprima, facendo bisestili solo alcuni secoli il numero di giorni in ogni secolo non è più identico. Nel calendario giuliano, tutti gli anni del secolo sono anni bisestili, mentre in quello gregoriano, lo è solo ogni quarto secolo; “ma se l’anno bisestile costante crea un ritmo, allora un secolo privato di un anno bisestile viola questo ritmo.” (38) In secondo luogo, nei secoli gregoriani, i segmenti di tempo che cadono allo stesso punto in secoli bisestili e ordinari non sono uguali ai segmenti di tempo corrispondenti che si trovano nei secoli non bisestili adiacenti. In terzo luogo, l’essenza di un calendario viene violata da quello gregoriano: la presenza di un periodo minimo contenente un numero intero di giorni. E, se nel calendario giuliano questo periodo equivale a quattro anni o 1.461 giorni, in quello gregoriano costituisce 400 anni, o 146.097 giorni.
Oltre a ciò, i mezzi anni, quarti di anni e mesi del calendario gregoriano contengono un numero disuguale di giorni; i giorni della settimana non si accordano con le date dei mesi, sia in anni diversi che attraverso un medesimo anno. A causa della presenza nella maggioranza dei mesi gregoriani delle cosiddette settimane “spezzate”, l’alternanza di queste ultime avviene indipendentemente dalla durata dei mesi.
In aggiunta a questo, coloro che comparano i due calendari «dimenticano spesso che, da un punto di vista puramente scientifico, il calendario gregoriano non presenta alcun vantaggio sul calendario giuliano semplicemente perché i due calendari sono differenti nei loro principi. Il Calendario Gregoriano è orientato sul valore dell’anno tropicale o solare, e quello giuliano sull’anno siderale o stellare. In considerazione dell’irregolarità dell’orbita della terra attorno al sole, l’anno tropicale (a differenza di quello siderale) non ha un valore strettamente costante. La sua particolarità, alla quale siamo abituati, è che esso costituisce l’anno “naturale”, vale a dire, il periodo del ritorno del sole all’equinozio o solstizio, per i processi realmente sperimentati sulla terra, mentre l’anno stellare è il periodo del ritorno del sole alla medesima stella fissa. In questo senso, il calendario gregoriano è geocentrico, mentre quello giuliano è cosmocentrico nella sua base.» (39)
Ben si sa che, a paragone con l’anno giuliano, la durata dell’anno gregoriano è più prossima al valore dell’anno tropicale (l’anno giuliano lo supera leggermente, di 11 minuti e 14 secondi). Tuttavia, anche il calendario gregoriano è inaccurato in relazione al valore dell’anno tropicale. L’errore in esso presente crescerà con il tempo, cosicché «dopo 25.765 anni tropicali sarà indietro rispetto all’anno siderale di un anno intero. Questa è la ragione per cui tutte le ricerche astronomiche, e perfino quelle storico-astronomiche, correlate con lunghi periodi di tempo, vengono condotte secondo il calendario giuliano e non secondo quello gregoriano.» (40) Queste argomentazioni scientifiche meritano di essere prese in considerazione dai sostenitori del calendario gregoriano, che amano sottolineare la sua esattezza astronomica.
Quanto alla ricerca cronologica, il calendario gregoriano, secondo le parole del Prof. V.V. Bolotov, rappresenta una «vera e propria tortura per i cronologi.»
A questo proposito, è interessante notare l’attività del rinomato cronologo, Giuseppe Scaligero, un contemporaneo di Papa Gregorio XIII. Nel suo trattato, “Una nuova opera per il miglioramento del computo del tempo,” egli dimostra che soltanto il sistema calendariale-cronologico giuliano è in grado di fornire un computo ininterrotto nella cronologia mondiale. (41)
È possibile tenere un conto sequenziale e ininterrotto dei giorni con il Ciclo della creazione di Scaligero (i cicli pasquali niceni sono il suo prototipo) da una data di partenza convenzionale. Grazie a questa qualità unica, come pure ai suoi altri meriti, la cronologia giuliana nella redazione di Scaligero forma la base di tutti i computi astronomici e cronologici. Perciò, “rimane un fatto paradossale che lo stesso sistema, senza il quale l’astronomia e cronologia dei nostri tempi non riesce a funzionare, fu considerato da Papa Gregorio XIII come inutile per il calendario.” (42) Nella ricerca storica e cronologica, si devono fare i calcoli dapprima secondo il calendario giuliano, e quindi tradurli nelle date gregoriane. Tutto ciò mostra la mancanza di fondamento dei passi intrapresi da Roma. La riforma del 1582 ha mostrato di essere, in essenza, futile sia dal punto di vista scientifico sia riguardo alla meta che i gregoriani si erano fissati. Dopo tutto, nel calendario gregoriano, la data dell’equinozio di primavera, sebbene più lentamente che nel calendario giuliano, si sta regolarmente allontanando dal suo vero significato astronomico, mentre la luna piena astronomica di Pasqua si sta separando dall’equinozio al ritmo di un giorno ogni 210 anni.(43)
Il tentativo di Roma di fare della Pasqua una festività esclusivamente primaverile manca di alcun fondamento, poiché il cristianesimo, essendo una religione universale, celebra la risurrezione di Cristo in entrambi gli emisferi in stagioni dell’anno differenti. Dopo tutto, se il giorno della Santa Pasqua nell’emisfero settentrionale del pianeta cade in primavera, in quello meridionale cade in autunno. La Santa Pasqua non può cadere in primavera, per ragioni sia astronomiche che meteorologiche, in entrambi gli emisferi della terra allo stesso tempo. E’ una festa di primavera secondo lo spirito, e non secondo la lettera.
Quanto al calendario giuliano, di cui ci occupiamo, la sua semplicità, vitalità e praticità stanno nel fatto che i giorni ritornano alle stesse date dopo 28 anni, e le lune nuove e piene dopo 19 anni. Il ciclo pasquale, o la Grande Proclamazione, contiene 532 anni. E’ costruito per mezzo della combinazione del “ciclo della luna” di 19 anni con il “ciclo del sole” di 28 anni. Il numero 532 è il risultato della moltiplicazione dei due valori: 19 e 28. In tal modo, il ciclo pasquale consiste di ventotto “cicli della luna” di 19 anni, e diciannove “cicli del sole” di 28 anni. Questo sistema crea un ritmo matematico unico. Al termine di una Grande Proclamazione, le fasi della luna e i giorni della settimana ritornano alle stesse date. Così, la quindicesima proclamazione è stata in corso dall’anno 1941; di conseguenza, la Pasqua nell’anno 1941 fu celebrata nella stessa data dell’anno 1409 (vale a dire, 532 anni prima), mentre nell’anno 1988 è caduta nello stesso giorno dell’anno 1456, e così via. Questa ciclicità interna, che è stata posta nella natura del calendario giuliano stesso, ci dà le basi per esaminarlo (a differenza del calendario gregoriano) come calendario veramente perpetuo. (44) È difficile sopravvalutare i meriti matematici e di altro genere in questo sistema.
I Santi Padri del primo Concilio Ecumenico, avendo preso in considerazione tutti i computi astronomici e matematici, non diedero però valore assoluto all’accuratezza astronomica dei calcoli. Tutte le inesattezze per le quali il calendario giuliano ecclesiastico è biasimato “sono troppo ovvie per non presumere che esse fossero permesse intenzionalmente, per la semplificazione dei cicli pasquali.” (45) Oltre a ciò, i compilatori dei cicli pasquali sapevano che l’accuratezza in sé è qualcosa di condizionato, poiché i valori iniziali vengono accettati dagli uomini in modo ipotetico. Sia la Precessione degli equinozi che l’avanzamento delle vere fasi lunari erano loro ben note. Avendo accettato il 21 marzo come limite per la celebrazione della Pasqua, essi sapevano che l’equinozio è mobile. Secondo le decisioni accettate dalla Santa Chiesa, la Pasqua è celebrata entro i limiti dal 22 marzo fino al 25 aprile incluso (secondo il calendario giuliano). Il giorno della Santa Pasqua si sposta di diversi giorni dal momento del plenilunio in virtù del fatto che è celebrato senza eccezioni di domenica.
Essendo, da una parte, in certo modo dipendenti dai dati dell’astronomia, i cicli pasquali ortodossi d’altro canto non aderiscono a un’accuratezza astronomica assoluta (che è impossibile in pratica). Nondimeno, questo sistema completo, che è servito per più di un millennio e mezzo come calendario liturgico sacro per tutti i popoli cristiani, è un modello di bellezza e sapienza. Frutto delle fatiche di creatori divinamente ispirati, il calendario giuliano ecclesiastico unisce in sé il condizionato con il non condizionato, l’assoluto con il relativo.
Prendendo in considerazione il fatto che molti dettagli dei cicli pasquali ortodossi hanno un carattere puramente simbolico e condizionato, non ci si dovrebbe preoccupare per il fatto che nel nostro tempo il momento astronomico dell’equinozio di primavera sia passato al di fuori dei confini della Pasqua secondo il ciclo alessandrino. Secondo l’equinozio tradizionalmente accettato al 21 marzo, la celebrazione della Pasqua ortodossa (ma non di quella gregoriana) è tenuta precisamente dopo la “prima luna piena.” Il giorno del “plenilunio ecclesiastico pasquale” del 21 marzo, accettato nei cicli pasquali alessandrini come il vero 14 di Nisan, “precede sempre la Pasqua del Signore, che giunge al vero 15 di Nisan; e cioè, rispetta i requisiti di Zonaras, di Balsamon, e del secondo canone di Blastaris.” (46)
E così, i rimproveri mossi ai cicli pasquali ortodossi per “arretratezza” rispetto alla scienza sono frutto di incomprensione e pregiudizio, così come dell’ignoranza di tutto l’aggregato di problemi collegati con la questione più complessa del calendario giuliano ecclesiastico. Il Prof. V.V. Bolotov ha mostrato in modo convincente che dall’astronomia nel “proprio elemento, gli studiosi della Pasqua non possono ricevere direzioni veramente valide. Solo la meteorologia può dare tali direzioni, ma solo quando raggiungerà un grado di sviluppo, che ora può essere intravisto solo in un futuro molto distante,” un grado di sviluppo che risolva problemi come questo: nell’anno N, l’orzo matura attorno a Gerusalemme nel dato tempo, mentre nell’anno N + 100 maturerà nell’altro tempo dato. (47) “Con il presente stato della scienza,” dice Bolotov, “si possono considerare i cicli pasquali alessandrini ortodossi come opera altamente perfetta, e indubbiamente superiori ai cicli pasquali gregoriani, perciò quieta non movere.
Lo sforzo di Papa Gregorio XIII di rettificare quella che gli sembrava una violazione dei canoni della Chiesa sulla celebrazione della Pasqua, finì per essere davvero una violazione di uno dei canoni fondamentali della Chiesa. Così, celebrando la Santa Pasqua prima degli ebrei o insieme a loro, i seguaci della riforma gregoriana iniziarono a violare il Canone Apostolico VII, i decreti del Concilio di Nicea e il Canone I del Concilio locale di Antiochia.
Cambiare la sequenza degli eventi di cui ci parla il Vangelo significa distorcerli. Misticamente la Pasqua del Nuovo Testamento simbolizza il rimpiazzo dell’offerta sacrificale dell’agnello nell’Antico Testamento con il sacrificio redentivo del nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo: l’Agnello che prende su di sé i peccati del mondo (cfr Gv 1,29). E se, per ragioni puramente astronomiche, la Pasqua cristiana nella Chiesa primitiva coincideva con il Passaggio della sinagoga, è totalmente inaccettabile che la Santa Pasqua preceda il Passaggio ebraico. “Perfino i quartodecimani, che furono condannati dalla Chiesa antica per il fatto che celebravano sempre la Pasqua insieme agli ebrei (ovvero, il 14 di Nisan), non avrebbero potuto immaginare qualcosa del genere.” (48) Nel solo periodo dal 1851 al 1950, i seguaci del calendario gregoriano hanno celebrato la Pasqua quindici volte prima degli ebrei, e più di una volta insieme a loro; per esempio, il 1 aprile 1923, il 17 aprile 1927, il 18 aprile 1954 e il 19 aprile 1981. Pertanto, il decreto del Concilio locale di Costantinopoli del 1583, che dichiarò non canonico il calendario gregoriano, rimane effettivo. Il Sigillion (lettera enciclica) di questo concilio, firmata da tre patriarchi orientali - Geremia di Costantinopoli, Silvestro di Alessandria e Sofronio di Gerusalemme - e dal resto dei gerarchi al Concilio, proclama: “Chiunque non segue i costumi della Chiesa e quanto i Sette Santi Concili Ecumenici hanno ordinato riguardo alla Santa Pasqua e al Menologio [le feste fisse] e hanno stabilito che noi seguissimo, ma desidera seguire i cicli pasquali e il Menologio gregoriano, egli, così come gli astronomi senza Dio, si oppone a tutti i decreti dei santi concili e vuole cambiarli e indebolirli; che egli sia anatema e scomunicato dalla Chiesa di Cristo e dall’assemblea dei fedeli.” (49)
Il Sigillion del Patriarca Ecumenico Cirillo V, emanato nel 1756 nell’occasione dei tentativi di Roma di cambiare il calendario ortodosso, allo stesso modo consegna i riformatori alla dannazione e alla scomunica eterna. I documenti storici qui forniti mostrano in modo esaustivo l’attitudine dei patriarchi orientali verso la riforma del calendario ecclesiastico ed esprimono una risoluzione incrollabile di conservare la purezza della fede ortodossa.
Come risultato della riforma calendariale gregoriana, il papato si separò definitivamente dall’Ortodossia. La comprovata inutilità di questa riforma ci convince che la separazione dall’Ortodossia era il suo principale, anche se inconfessato, proposito, che fu così raggiunto da Roma.
Non si deve pensare che la riforma del calendario non abbia incontrato oppositori. Sia tra i contemporanei di Papa Gregorio XIII e in seguito ve ne furono non pochi, e tra di loro delle grandi menti. Il grande Copernico si rifiutò di prendere parte alle preparazioni per questa riforma, che erano già iniziate nell’anno 1514 al Concilio Laterano. Giuseppe Scaligero rimase un risoluto oppositore della riforma del calendario fino alla fine della sua vita. Tuttavia, il papato a quel tempo rappresentava una potente forza religioso-politica a cui non era sempre possibile resistere. La Controriforma in Europa, guidata da Roma, era, come si sa, ben organizzata e spietata. La ricerca del potere è sempre collegata con la ricerca di potere sul tempo. La storia conosce molti esempi di “appropriazione” di un tale potere; tra gli eventi storici più vicini a noi si può menzionare la Rivoluzione francese con il suo Termidoro.
Roma incoraggiò con forza un’attitudine di pregiudizio contro il calendario giuliano. Solo pochi realizzano che, da un punto di vista scientifico formale, il calendario gregoriano non ha assolutamente alcun vantaggio su quello giuliano, in quanto i due calendari differiscono nei loro principi.
Le nazioni cattolico-romane passarono quasi immediatamente al nuovo stile. Tuttavia, i paesi protestanti non accettarono la riforma gregoriana per lungo tempo, riconoscendo che «è meglio separarsi dal sole che unirsi a Roma.» (50) Ma verso la metà del diciottesimo secolo il calendario gregoriano penetrò in tutte le nazioni d’Europa.
Roma, rafforzando il proprio primato e il proprio significato mondiale, andò «contro l’evidenza scientifica, contro la tradizione e i canoni della Chiesa. Le nostre passioni ci spingono a distorcere la ragione, la logica e la conoscenza. Questo, in tutta probabilità, accade non solo con gli individui, ma anche con un’intera società, un popolo, e perfino con un’intera Chiesa e cultura individuale (locale).» (51) Come conseguenza della riforma del calendario nel mondo occidentale, il centro della vita spirituale e liturgica iniziò gradualmente a slittare dalla Pasqua alla Natività del Signore. Riguardo a ciò che questa festa cristiana è diventata in Occidente, c’è ben poco bisogno di fare commenti. Questa “festa,” che è per la maggior parte una occasione di commercio e di intrattenimento, è blasfema nei confronti dell’evento sacro della Natività di Cristo. Che stridente contrasto tra i supermercati e i negozi affollati e le chiese vuote o semi-vuote nei giorni del Natale in Occidente! (52)
Il problema della cronologia, causato dalla riforma gregoriana, resta irrisolto persino ai nostri giorni. Ora già per più di quattro secoli, il dissenso e i disaccordi nella Chiesa riguardo alla vita liturgica non cessano. L’accettazione del “calendario giuliano corretto” da parte di diverse delle Chiese autocefale [ortodosse] non ha fatto altro che aggravare il problema.
Nel 1923, alla conferenza costantinopolitana delle Chiese ortodosse convocata dal Patriarca Melezio IV, fu approvato il “calendario giuliano corretto.” Tre patriarchi orientali condannarono severamente questo congresso, che illegalmente definì se stesso “pan-ortodosso,” e si rifiutarono di prendervi parte. Non un singolo rappresentante plenipotenziario della Chiesa russa, che ammonta a tre quarti dell’intero mondo ortodosso, era presente. Questa conferenza, che introdusse un profondo dissenso nell’unità ortodossa, può essere considerata uno degli eventi più tristi della vita della Chiesa nel ventesimo secolo. (53) Oltre all’abolizione del calendario giuliano, le altre decisioni della conferenza costantinopolitana del 1923, come il permesso di un secondo matrimonio del clero, il matrimonio dopo l’ordinazione, la richiesta di abbandonare il ciclo mobile delle feste della chiesa e persino della disposizione settimanale dei giorni, la proposta di abbreviare i servizi divini e altre dubbie innovazioni testimoniano la sua totale illegalità canonica. Molte di queste decisioni furono respinte dalla coscienza della Chiesa cattolica ortodossa; tuttavia, quella sul nuovo calendario, accettata da alcune delle Chiese, violarono la oro unità con le altre Chiese ortodosse e causarono tra loro seri dissensi interni, che continuano ancora oggi. (54)
I metodi che Melezio IV (Metaxakis) usò per introdurre il nuovo stile meritano un’attenzione speciale. Così, nella sua lettera all’Arcivescovo Seraphim di Finlandia, datata 10 Luglio 1923, Melezio IV racconta una bugia manifesta, affermando che il nuovo stile era stato accettato per richiesta popolare e per un consenso delle Chiese ortodosse. In tal modo, egli condusse in errore persino il Santissimo Tikhon, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. (55)
Tuttavia, in risposta all’epistola del Patriarca costantinopolitano, il 27 febbraio 1924, riguardo all’introduzione del calendario neo-giuliano nell’uso della Chiesa, il Santissimo Patriarca Tikhon lo informò che nella Chiesa russa sarebbe risultato impossibile introdurre il nuovo stile in vista della decisiva opposizione del popolo. (56)
Melezio IV fu forzato a ritirarsi dalla carica a causa dell’estrema indignazione della popolazione ortodossa di Costantinopoli; i greci devastarono l’edificio del patriarcato e “lo sottoposero ad assalto e percosse.” (57) Ciò, tuttavia, non eliminò i disturbi al calendario da lui seminati. Essendo in seguito divenuto Patriarca di Alessandria, Metaxakis impose il calendario neo-giuliano anche su questa Chiesa. Questo fatto è tanto più deplorevole proprio perché furono i Padri della Chiesa alessandrina a creare i cicli pasquali ortodossi e a custodirli con zelo per uno spazio di molti secoli.
Le Chiese ortodosse autocefale di Grecia, Alessandria, Antiochia, Romania e Bulgaria accettarono lo stile giuliano “corretto” per l’intero anno liturgico, eccettuando soltanto il periodo del Triodio quaresimale e del Pentecostario, che sono osservati secondo il calendario giuliano. Tuttavia, sotto il calendario neo-giuliano “i cicli pasquali alessandrini non possono essere usati senza manovre dubbie e artificiali.” (58) Oltre a ciò, il calendario neo-giuliano, invece del periodo giuliano di 4 anni, ha un periodo di 900 anni, cosa che fa crescere il periodo dei cicli pasquali da 532 anni a 119.700 anni, praticamente trasformando i cicli pasquali “corretti” in tempi pasquali non ciclici (questo calendario di Milankovich coincide con il calendario gregoriano fino all’anno 2800).
Di fatto, questo “calendario giuliano corretto” ha bisogno esso stesso di correzioni, in particolare, di natura canonica. Combinato artificialmente con i cicli pasquali alessandrini, porta disordine nella vita liturgica.
Così, la Kyrio-Pascha [coincidenza della domenica di Pasqua con la festa dell’Annunciazione] diventa impossibile, la festa dell’Annunciazione non può cadere nella settimana della Passione, e la sua celebrazione frequentemente non corrisponde al tempo determinato dal Tipico. Il primo e il secondo ritrovamento del Prezioso Capo del Precursore non raramente vengono dislocati dai giorni indicati dal Tipico. Ugualmente rivelatore è l’esempio del ricordo dei santi Quaranta Martiri di Sebaste. Il giorno dedicato alla loro memoria secondo il Tipico (capitolo 48 con i capitoli marcani), può cadere dal martedì della prima settimana fino al lunedì della sesta settimana della Grande Quaresima, o i Quaranta giorni santi. Le parole del servizio ai Santi Quaranta Martiri lo mostrano allo stesso modo: “O voi che avete portato la passione di Cristo, avete reso splendido l’augusto digiuno con la memoria della vostra gloriosa sofferenza; poiché essendo quaranta, voi santificate i quaranta giorni” (glorificazione alle Lodi); “il coro della radianza dei quaranta, l’intero esercito raccolto da Dio, risplendette assieme sul digiuno attraverso sofferenze onorevoli, santificando e illuminando le nostre anime” (prima stichira di “Signore, a te ho gridato”).
Sotto il calendario neo-giuliano, con il quale il giorno dei Santi Quaranta Martiri può, contrariamente al Tipico, cadere nella settimana dei latticini o persino nella settimana di carnevale, queste parole di preghiera perdono il loro significato. Non infrequentemente, anche la celebrazione del giorno della memoria del santo Grande Martire Giorgio è violata dai neo-calendaristi.
Il peggiore di tutti i casi, comunque, è quello del digiuno di Pietro, o digiuno degli apostoli. L’istituzione di questo digiuno nella Chiesa è già testimoniata nelle Costituzioni Apostoliche: “dopo Pentecoste, celebrate per una settimana, e quindi digiunate” (libro 5, capitolo 9). Secondo l’antica prescrizione, questo digiuno inizia il lunedì successivo alla domenica di Tutti i Santi, che è la prima dopo la Pentecoste. A seconda del giorno della celebrazione della Santa Pasqua, la sua durata è differente in anni differenti: il digiuno più prolungato è di sei settimane, mente il più breve è di una settimana e un giorno.
Un’intera serie di testi patristici parla dell’alto rispetto che questa festa ha goduto tra i cristiani. (59) I riferimenti si trovano nei Santi Atanasio il Grande, Ambrogio di Milano e Teodoreto di Ciro. San Leone Magno dice che il Digiuno degli Apostoli, che segue la prolungata festa di Pentecoste, è “in special modo necessario, in modo da purificare attraverso questo sforzo i nostri pensieri ed essere resi degni dei doni dello Spirito Santo (Sermone 76). In un altro dei suoi sermoni (il 74), San Leone spiega il significato di questo digiuno: “I maestri, che con il loro esempio e i loro precetti hanno illuminato tutti i figli della Chiesa, hanno delimitato l’inizio della guerra per Cristo con un santo digiuno, per avere, quando andiamo in guerra contro la depravazione spirituale, un’arma a tal fine nell’astinenza, con la quale poter mortificare i desideri peccaminosi. Questo costume dovrebbe essere tenuto con diligenza anche perché quei doni che ora sono comunicati da Dio alla Chiesa rimangano in voi.”
Nelle Chiese ortodosse autocefale che hanno accettato il “calendario giuliano corretto,” il digiuno degli apostoli è frequentemente abbreviato o sparisce completamente se cade nella settimana di Pentecoste, quando il digiuno è proibito dal Tipico. Negli anni recenti, ciò ha avuto luogo nel 1983 e nel 1986.
E’ possibile mantenere inviolata la regola liturgica di Gerusalemme (Tipico) - l’inestimabile frutto dello sforzo di preghiera dei più grandi asceti ortodossi - soltanto sotto il calendario ecclesiastico giuliano e i cicli pasquali alessandrini. Quanto al calendario neo-giuliano, sotto il suo uso in un periodo di soli venti anni (1969-1989) si possono contare decine di deviazioni dal Tipico, cosa che implica un allontanamento dalla tradizione patristica, una violazione dell’unità della preghiera tra le Chiese ortodosse, e nella vita pratica dissenso e divisione tra il popolo della Chiesa.
L’accettazione del calendario neo-giuliano nella pratica ecclesiastica di alcune Chiese autocefale, secondo le parole del Metropolita Antonio (Vadkovsky), “può in futuro avere conseguenze indesiderabili e persino perniciose per il bene della Chiesa universale e può servire come arma nelle mani dei suoi nemici, che sotto il sedicente pretesto dell’interesse dei popoli ortodossi, sono da molto tempo in armi contro l’unità universale.” (60) Queste parole, pronunciate all’inizio del ventesimo secolo, si sono sfortunatamente rivelate giustificate.
La questione del calendario ecclesiastico appartiene a una serie di questioni quanto mai importanti di significato ecclesiastico-religioso che portano perfino alla separazione delle chiese. “Che nessuno pensi che siamo in contesa a causa dei tempi, dei mesi e dei giorni, e stiamo sopportando privazioni a causa dei pleniluni e degli equinozi. Ci battiamo per la Santa Chiesa; la stiamo difendendo dai poteri dell’Ade che sono insorti contro di lei,” scrive l’Arcivescovo (in seguito Metropolita) Innokenty di Pechino nella sua lettera aperta. (61)
Dopo la conferenza inter-ortodossa di infausta memoria a Costantinopoli nel 1923, l’introduzione del nuovo calendario fu spesso effettuata frettolosamente e con forzature. I moderni riformatori del calendario ecclesiastico trattano con arroganza la tradizione e la determinazione dei 318 Santi Padri del primo Concilio Ecumenico sulla Santa Pasqua, che fu confermata dal Concilio locale di Antiochia e da tutti i seguenti Concili Ecumenici. Tuttavia, non ci si deve dimenticare che gli anatemi dei patriarchi e gerarchi orientali, proclamati negli anni 1583 e 1756, incombono pesantemente sui neo-calendaristi. Secondo l’espressione dell’epistola enciclica del 1848, firmata da quattro patriarchi, i neo-calendaristi, che violano la tradizione scritta e non scritta, “volontariamente si rivestono di maledizione come di un manto” (Salmo 108:18). (62)
Il Concilio pan-russo del 1917-1918 rifiutò decisamente il nuovo stile e stabilì che il calendario giuliano ecclesiastico fosse mantenuto per il computo ecclesiastico.
Quattro concili degli arcipastori della Chiesa Russa all’Estero, tenuti nel 1923, 1924, 1926 e 1931, presero la decisione di rifiutare il nuovo stile, in vista del fatto che gli anatemi dei patriarchi orientali del 1583 e del 1756 pesano su di esso anche in questi tempi, “poiché non sono stati revocati né sciolti da qualsivoglia concilio” (63)
Nel nostro tempo di totale secolarizzazione, sarebbe utopistico proporre un ritorno al calendario giuliano per uso civile. Ciò sarebbe, nelle parole del Metropolita Vitaly (Ustinov), equivalente come sforzo a far tornare l’intero mondo occidentale contemporaneo ai primi tempi cristiani. Tuttavia, è necessario opporsi consapevolmente a tutte le manipolazioni del calendario ortodosso. “E voi, cristiani pii e ortodossi, mantenetevi in quelle cose che avete imparato, in cui siete nati e siete stati cresciuti, e quando la necessità chiama, effondete il vostro stesso sangue per mantenere la fede e la confessione dei Padri; custodite voi stessi e siate attenti in queste cose, in modo che anche il nostro Signore Gesù Cristo vi aiuti.’ (64)
La Chiesa ortodossa russa (in Russia e all’estero), i monasteri del Santo Monte Athos, così come le Chiese Ortodosse di Gerusalemme, di Georgia e di Serbia e tutti gli zeloti dell’eredità patristica si tengono fermamente ancorati al calendario ecclesiastico giuliano, e nonostante molte pressioni si rifiutano di accettare il nuovo stile.
In un’epoca di compromessi e di inaudite deviazioni canoniche, di perdita di riverenza di fronte alle cose sante, di scandalosa abbreviazione dei servizi divini, del rifiuto del digiuno, per non parlare del “sacerdozio” femminile, questa totale rottura con la Tradizione Sacra; (65) in un’epoca in cui “l’abominio della desolazione” si impadronisce anche dei circoli ecclesiastici, bisogna definire la verità “non per mezzo della generale coscienza della Chiesa, che al presente non è sufficiente, ma per mezzo della generale Tradizione della Chiesa, in accordo con la Chiesa antica.” (66)
Come nei tempi dei monoteliti e degli iconoclasti, bisogna cercare la risposta alla dolorosa questione moderna del calendario ecclesiastico nella Tradizione Sacra, ricordando l’esempio del venerabile Massimo il Confessore, che respinse l’eresia monotelita come innovazione, e si rifiutò di essere in comunione con il patriarca monotelita, “anche se l’universo intero fosse stato in comunione con lui” (Letture dei Minei, 21 gennaio). Allo stesso modo, sia i confessori che i martiri, che soffrirono a causa delle sante icone, si batterono contro l’iconoclasmo, senza aspettare un concilio, ma facendosi guidare unicamente dalla Tradizione Sacra, criterio quanto mai affidabile nel risolvere i turbamenti ecclesiastici.
Riguardo al calendario ecclesiastico, ci si può domandare con le parole del Beato Agostino sull’eresia pelagiana: è proprio necessario radunare un concilio per denunciare una simile manifesta perdizione? E se l’eresia pelagiana fu condannata solo a un concilio locale cartaginese, e nondimeno fu respinta da tutta la Chiesa ortodossa, allora anche il nuovo stile, che fu condannato non da uno, ma da molti concili e sinodi, dovrebbe alla fine essere respinto da tutti gli ortodossi veramente credenti. (67)
Quanto alle vane argomentazioni dei patroni della riforma del calendario ecclesiastico, che hanno fatto per se stessi un idolo della scienza, “che essi sappiano che agli ortodossi non conviene essere guidati nella vita della Chiesa dalla scienza, bensì dalla Grazia.” (68)
Il movimento ecumenico contemporaneo cerca soluzioni che possano risolvere la questione del calendario. Tra le altre proposte riguardo a tale questione, due solo quelle più spesso deliberate:
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Assegnare la festa della Santa Pasqua in un giorno fisso secondo il calendario gregoriano (la prima o la seconda domenica di aprile). Questa proposta, che è in completa rottura con la determinazione del Concilio di Nicea, fu sostenuta dal Concilio Vaticano Secondo.
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Determinare la data della celebrazione della Pasqua impartendo un significato astronomico letterale ai concetti di “equinozio” e di “plenilunio.”