La preparazione alla santa Comunione

Se si vede nell’eucaristia «il più grande dono», è inammissibile che la preparazione alla comunione arrivi a sembrare «l’acquisto d’un biglietto», «che si deve meritare con lo sforzo, per cui si deve lavorare». Alcuni preti mettono l’accento sulle regole e le interdizioni piuttosto che sulla morale evangelica. La situazione è ancora complicata dalla manifestazione «d’una forma di clericalismo».

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Una tavola rotonda intitolata «Preparazione alla santa comunione: pratiche storiche e approcci attuali per risolvere il problema» si è tenuta il 27 dicembre 2006 al monastero di San Daniele a Mosca. Alcuni noti preti moscoviti hanno preso parte alla discussione: gli arcipreti Vladislav Sveshnikov, Vladimir Vorobiev, Dimitri Smirnov, Vsevolod Chaplin, Nikolaj Balashov, Aleksij Uminskij. I preti dei villaggi erano rappresentati dall’arciprete Valerian Krechetov. I lavori si sono svolti sotto la presidenza del vescovo Mark (Golovkov) di Yegoriev. La discussione è stata diretta dall’igumeno Petr (Meshcherinov), direttore della scuola di servizio giovanile del Centro patriarcale di sviluppo spirituale dei bambini e dei giovani, e prete di una delle parrocchie della periferia di Mosca.

Prima dell’inizio della conferenza, il superiore del monastero di San Daniele, l’archimandrita Aleksij (Polikarpov), ha letto ai partecipanti un messaggio del Patriarca Alessio II, il cui contenuto testimonia l’alta importanza che il primate della Chiesa Ortodossa della Rus’ accorda ai problemi del rinnovamento liturgico e alla formazione di un «approccio sano alle condizioni di preparazione alla comunione». «I preti di parrocchia, i servitori dei luoghi di culto e i padri spirituali hanno un’enorme responsabilità. Da un lato si tratta di non offendere la santità dei sacramenti, dall’altro di non allontanare le persone dalla comunione ecclesiale, dalla vita eucaristica, dalla compartecipazione alla natura divina, dalla stessa salvezza, per mezzo di un rigorismo eccessivo e ingiustificato», dice il messaggio.

I partecipanti sono stati unanimi a osservare che il tema era di un’attualità scottante, che è «di importanza vitale per ogni fedele», che il tempo della discussione «è da lungo maturo», come ha detto il vescovo Mark. Si è proposto di discutere la frequenza alla comunione, del suo legame con la pratica ecclesiale di ciascuno, del digiuno eucaristico e della confessione nei casi di comunione frequente, della regola di preghiera per la preparazione alla comunione e di altre questioni attuali.

All’inizio, l’igumeno Petr (Meshcherinov) ha tentato di dare un carattere concreto alla discussione richiamando esempi di «ciò che ogni pastore si trova di fronte». Secondo lui, nel corso di 10-15 anni di rinnovamento della Chiesa Ortodossa in Russia si è costituita tutta una generazione di parrocchiani che hanno l’abitudine di prendere parte con regolarità e consapevolezza ai sacramenti, ma per i quali le «norme comuni» della preparazione alla comunione ammesse nella nostra Chiesa: un digiuno di tre giorni, una regola di preghiera voluminosa, la confessione individuale obbligatoria, «costituiscono un ostacolo alla comunione frequente». Numerosi padri spirituali potrebbero rilassare i requisiti, ma esitano a farlo per timore di infrangere la tradizione. Secondo l’igumeno Petr, si percepisce molto bene il fenomeno che i fedeli, «una volta passato lo slancio d’entusiasmo del neofita», «si stancano di regole e norme», cosa che li conduce alla tiepidezza, all’indifferenza, e a volte perfino all’allontanamento dalla Chiesa. L’osservazione stretta della regola in vigore costituisce un enorme problema per gli studenti, i viaggiatori, i pellegrini. Non è un segreto che «senza nemmeno parlare delle chiese di provincia, in metà delle chiese di Mosca non si dà la comunione ai fedeli nel periodo dopo Natale e nella settimana dopo la Pasqua...»

Se si vede nell’eucaristia «il più grande dono», è inammissibile che la preparazione alla comunione arrivi a sembrare «l’acquisto d’un biglietto», «che si deve meritare con lo sforzo, per cui si deve lavorare». Alcuni preti mettono l’accento sulle regole e le interdizioni piuttosto che sulla morale evangelica. La situazione è ancora complicata dalla manifestazione «d’una forma di clericalismo»: i pastori non digiunano essi stessi prima della comunione, ma esigono che i laici lo facciano, cosa che introduce «un doppio standard nel seno dell’unico Corpo di Cristo».

Il vescovo Mark è d’accordo nel dire che una tale esigenza «favorisce l’ipocrisia» e distrugge «le relazioni tra i pastori e il loro gregge». La tradizione del digiuno di tre giorni e della confessione obbligatoria è un’eredità del periodo sinodale, durante il quale ci si comunicava raramente, una o due volte l’anno. Oggi noi condanniamo quelli che desiderano comunicarsi «a un digiuno perpetuo, un fardello che non tutti possono portare», che «non mancherà di esercitare un’influenza negativa sulla vita spirituale nella Chiesa». «La confessione è una pratica molto importante», ha aggiunto, ricordando che l’Oriente non conosceva la pratica della confessione costante, prima di ogni comunione, e che non tutti i preti sono autorizzati a ricevere confessioni e a pronunciare l’assoluzione. Tuttavia, la Russia ha visto svilupparsi un’altra tradizione, e questa da un lato è molto importante oggi, quando vi sono molte persone che sono «poco istruite in ciò che concerne la Chiesa», ma dall’altro lato trova nella nostra Chiesa «approcci differenti, spesso assai stravaganti». Ecco perché conviene «esaminare e precisare in modo conciliare» la pratica ammessa, evitando al tempo stesso «i movimenti troppo bruschi».

Una nota informativa sulle principali tappe storiche che ha conosciuto la preparazione alla comunione è stata presentata da Alexandr Bozhenov, collaboratore del Centro patriarcale di sviluppo spirituale dei bambini e dei giovani. Come si sa, la Chiesa antica conosceva la pratica della comunione settimanale, che aveva per esigenza principale la vita secondo il Vangelo e la riconciliazione con il prossimo. Il «digiuno eucaristico» era ridotto a ricevere la comunione in stato di digiuno, cosa che non era neppure obbligatoria durante i tempi apostolici. Nei primi secoli del cristianesimo non si conosceva la confessione individuale, con l’eccezione dei casi di peccato mortale, che davano luogo a una penitenza pubblica seguita frequentemente da una interdizione di comunicarsi per un certo lasso di tempo. Si stimava che accostandosi al calice, «ciascuno dovesse esaminare la propria coscienza». Alla questione della purezza corporea (soprattutto nei casi che riguardavano le donne durante il loro ciclo o nel periodo post-natale) diverse risposte sono state date da diversi ierarchi. A partire dal periodo costantiniano la situazione cambia: i Padri della Chiesa si lamentano della pratica della comunione poco frequente (annuale), l’abitudine monastica della confessione dei pensieri è portata tra i laici.

In Russia, la confessione segreta rimpiazza la confessione pubblica nel corso dei secoli X-XII. Nel XII secolo s’impone l’abitudine di confessarsi obbligatoriamente durante la grande Quaresima, e di seguire le indicazioni di un padre spirituale. A partire dal XIV secolo ci si confessa quattro volte l’anno, nel corso delle principali quaresime: la grande Quaresima, la quaresima del Natale, dei santi Pietro e Paolo, della Dormizione. Nel XVI secolo s’impone la regola delle preghiere preparatorie alla comunione, molto vicina a quella che è tuttora in vigore oggi, così come l’usanza di prepararsi durante un’intera settimana al sacramento (govenie).

Per quanto concerne il periodo sinodale, l’intervento ha sottolineato il ruolo particolare di san Giovanni di Kronstadt, le cui confessioni collettive erano conosciute in tutta la Russia, e che accordava più importanza «al cambiamento dell’interiore, alla preparazione del cuore, piuttosto che all’applicazione meccanica d’una regola di preghiera». A. Bozhenov ha stimato che questa pratica abbia portato i suoi frutti durante il periodo di persecuzioni contro la Chiesa nel XX secolo.

I partecipanti hanno quindi ascoltato con un’attenzione tutta particolare la nota d’informazione preparata dall’arciprete Nikolaj Balashov concernente le pratiche ammesse in certe Chiese locali. Queste tradizioni non sono solamente differenti a seconda delle Chiese, ma possono essere diverse in seno a una stessa Chiesa. Così nella Chiesa greca, la frequenza della comunione è «variabile». Quelli che si comunicano raramente, possono osservare periodi variabili di digiuno, secondo il loro stato di salute, mentre a quelli che si comunicano frequentemente non è raccomandato altro che di osservare i periodi di digiuno abituali. La confessione non è associata alla liturgia eucaristica e non costituisce un preliminare alla comunione. Un giorno della settimana è generalmente fissato per le confessioni. I sacramenti della comunione e della penitenza sono separati, talvolta fino al punto che i pellegrini che vanno a un monastero possono prima comunicarsi e in seguito «andarsene in cella aspettando la confessione». La regola è che i laici sono ammessi alla comunione salvo in caso di peccato grave. La regola di preghiera per i laici comprende il canone penitenziale e le preghiere preparatorie alla comunione. La lettura degli altri canoni si esige solo dai monaci. Non è raccomandato alle donne di comunicarsi nei giorni del loro ciclo, ma questa è la sola restrizione alla loro partecipazione all’officio: esse possono, anche durante i giorni del ciclo, venerare le icone, ricevere il pane benedetto (antidoro) o l’acqua santificata...

Il patriarca serbo Pavle esprime le stesse opinioni riguardo alle donne. Per il resto, non c’è uniformità nella Chiesa serba e tutto dipende dal paese in cui si è formato il prete della parrocchia. I diplomati nelle scuole greche adottano le tradizioni della Chiesa di Grecia, mentre i preti che si sono formati nelle scuole russe considerano la confessione un preliminare alla comunione e molti di loro sconsigliano la comunione al di fuori dei periodi di quaresima.

In Bulgaria i laici avevano fino a un periodo recente l’uso di comunicarsi raramente, generalmente durante i periodi di digiuno prolungato. I partecipanti sono stati sorpresi dalla «tabella abituale» che ha loro descritto padre Nikolaj Balashov. Il prete pronuncia le parole «Con timor di Dio e con fede avvicinatevi», esce con il calice, lo mostra alla congregazione e lo riporta nel santuario, mentre i rari comunicanti ricevono i santi doni dopo il congedo dell’officio. Ma la Bulgaria conosce attualmente un rinnovamento liturgico. Il numero dei comunicanti non cessa d’aumentare e i padri spirituali vengono incontro a questo movimento.

Nella Chiesa Ortodossa in America (O.C.A.), i preti fino a un periodo recente si sono fondati sulle raccomandazioni del rapporto «Confessione e comunione» del padre Aleksandr Schmemann al sinodo dell’O.C.A. nel 1972. Ma oggi, secondo padre Balashov, le raccomandazioni di questo rapporto (comunicarsi una volta la mese, e chiedere un’autorizzazione speciale del padre spirituale per una comunione più frequente) sono «una sorta d’anacronismo sia per l’O.C.A. che per noi». Sul sito ufficiale dell’O.C.A., padre Balashov ha trovato la seguente raccomandazione: «ci si metta d’accordo con il padre spirituale quanto alla periodicità della comunione così come sul legame tra la confessione e la comunione». Con la benedizione del padre spirituale, ci si può comunicare a ogni liturgia. Tali comunicanti possono accontentarsi dei periodi di digiuno comuni. Per i comunicanti occasionali il digiuno è di una settimana o di tre giorni.

In seguito ogni partecipante ha fatto il punto della pratica ammessa nella parrocchia da lui diretta. Ma prima il rettore dell’Università di San Tikhon, l’arciprete Vladimir Vorobiev, ha proposto di esaminare la questione di sapere chi possa essere ammesso alla comunione e con quale grado di preparazione nel quadro della comunità eucaristica, la cui rigenerazione richiede tutti gli sforzi. Per una tale comunità, «dove esiste un padre spirituale che deve conoscere da vicino i problemi della vita spirituale dei membri della comunità», «gli approcci che sono stati elaborati in passato in una condizione di vita completamente differente, quando la comunità eucaristica ha cessato di essere una realtà ecclesiale vivente» non sono accettabili. Ma non si può nemmeno prendere meccanicamente in prestito la pratica delle Chiese orientali, dove, per cominciare, la tradizione non è stata interrotta, e dove questa tradizione ha avuto per quadro dei piccoli paesi. Per esempio, attualmente in Grecia ci sono 9 milioni e mezzo di abitanti, più di 1000 monasteri, parrocchie molto numerose, 70 vescovi. «Tale è la vita normale di una Chiesa in Oriente.» La particolarità della Russia è che è «troppo grande». Noi abbiamo un singolo vescovo per moltissime migliaia di fedeli. «L’inevitabile rottura tra il vescovo e il popolo ecclesiale è un assoluto non-senso dal punto di vista della Chiesa antica» e noi dobbiamo tenerne conto nelle nostre nuove condizioni. Secondo padre Vladimir, la via retta deve essere mostrata attraverso un Concilio, che «rimetta ordine nella nostra vita ecclesiale». Purtroppo, il Concilio non si riunisce e non si può senza dubbio riunire, perché noi non siamo pronti. Ogni decisione deve fondarsi sull’esperienza della Chiesa.» Ecco perché noi abbiamo attualmente un’epoca di pluralismo inevitabile, quando «ciascun padre spirituale deve trovare la proprie risposta». «Noi dobbiamo ammettere questo pluralismo, non ci devono essere interdizioni strette sul modello: le cose stanno così, e non altrimenti. Ora è tempo di ricerca» ha sottolineato per concludere il sacerdote.

I risultati delle ricerche possono essere presentati secondo due questioni fondamentali sollevate nel corso della tavola rotonda.

Frequenza della comunione, preparazione alla comunione e digiuno eucaristico

Nella comunità di padre Vladimir Vorobiev, la pratica corrente della comunione risale alla tradizione instaurata da padre Vsevolod Spiller. «Se un fedele osserva i comandamenti di Dio, le quaresime, le feste, se prega – non ha alcun ostacolo alla comunione settimanale. Noi abbiamo modalità di preparazione alleggerite per tali parrocchiani: non si chiede loro che di osservare i digiuni ordinari e di astenersi dalla carne al sabato. Noi non esigiamo più la lettura di tutti i canoni, ma solamente quella delle preghiere prima della comunione», ha raccontato padre Vladimir, che ha sottolineato la necessità di una approccio individualizzato da parte del prete, che conosce nella sua comunità eucaristica i membri «maturi» e i neofiti. Per questi ultimi la preparazione alla comunione si deve fare altrimenti, perché la comunione non diventi una formalità o qualcosa di simile a un «medicamento». Un’attenzione particolare è accordata alle famiglie con molti bambini, cosa che è un caso frequente nella parrocchia. Esigere l’osservazione di tutte le regole da parte di una donna che compie un vero sforzo ascetico «portando in braccio i suoi bambini» sarebbe «disumano». Il rettore sarebbe pronto a dare la comunione a tali madri «senza tener conto di alcuna regola».

In seguito ha portato la sua testimonianza padre Aleksij Uminskij. «Io chiamo la gente a comunicarsi con frequenza, ma senza farne un obbligo per alcuno, per non limitare lo spirito della libertà. I nuovi venuti non costituiscono un’eccezione in materia.» Per i parrocchiani regolari non si raccomanda alcun digiuno particolare al di fuori dei periodi di digiuno ordinari. «Non chiedo neppure di escludere la carne al sabato. È meglio astenersi dal guardare la televisione.» Bisogna facilitare l’accesso alla comunione, ritiene padre Aleksij, altrimenti si mette alla comunione un numero troppo grande di ostacoli «infondati», mentre il battesimo e il matrimonio sono trattati con troppa leggerezza. Là ci vorrebbe giustamente una preparazione coerente e obbligatoria. La comunione familiare è necessaria per la famiglia in quanto «micro-chiesa», anche quando la gente non arriva all’inizio dell’officio.

L’arciprete Dimitri Smirnov ha proposto il seguente schema per il digiuno eucaristico: un mese di digiuno per chi si comunica una volta all’anno, una settimana per chi si comunica una volta al mese e le sole quaresime ordinarie per chi pratica la comunione settimanale, oltre all’astinenza dalla carne al sabato «per tener conto dell’attitudine verso la carne nel popolo e non turbare il costume». Le stesse esigenze devono valere per la settimana di Pasqua, «nel corso della quale la comunione è obbligatoria secondo i canoni della Chiesa», ha sottolineato padre Dimitri. È importante che i padri spirituali siano informati che assumere medicinali (ma non vitamine) non è un ostacolo alla comunione. Padre Dimitri ammette l’interdizione temporanea dalla comunione come uno «strumento pastorale» per chi ha l’abitudine di comunicarsi frequentemente, ma non per chi si comunica una volta all’anno. «A questi, e sono circa il 15%, bisognerebbe sforzarsi di chiedere la massima partecipazione», soprattutto a chi si accosta per la prima volta con un pentimento sincero. «A tali persone non solamente si può, ma si deve dare la comunione, anche se vengono senza preparazione e non sanno nulla». Tuttavia si deve spiegare in dettaglio a tali persone come si devono preparare ulteriormente, e che la chiesa le riceve per la loro prima volta come bambini piccoli. Padre Dimitri rifiuta di dare la comunione a chi è sposato solo civilmente, ma motiva il suo rifiuto con benevolenza, spiegando l’aspetto spirituale della situazione a seconda che essi pensino o no a un matrimonio religioso.

La confessione

Nella chiesa di padre Aleksij Uminskij, per quelli che «si reggono saldamente sulle proprie gambe», la confessione prima di ogni comunione non è affatto obbligatoria. Una benedizione del prete è sufficiente. I nuovi venuti sono incitati a confessasi più spesso, in quanto «per loro, la confessione individuale e le istruzioni del prete hanno un grande valore catechetico». La confessione ha luogo in chiesa una volta alla settimana, dopo l’officio della sera, «secondo il bisogno interiore» del fedele.

Padre Dimitri Smirnov ritiene che sia sufficiente confessarsi prima delle grandi feste, nel corso della settimana, e di non venire a confessarsi più spesso «se in quel periodo non hai ucciso nessuno». La confessione scritta è di grande aiuto, soprattutto per i parrocchiani permanenti. Padre Dimitri non vede alcun inconveniente a confessarsi presso un altro prete, per esempio durante un pellegrinaggio. In cambio vieta talvolta ai suoi fedeli di confessarsi nei monasteri: secondo le sue osservazioni la frequentazione di certi «anziani giovanotti» (mladostartsy) comporta conseguenze pesanti.

Padre Vsevolod Chaplin ritiene che «finiremo per far sparire le idee false sul legame tra confessione e comunione», ma la confessione «non deve per questo sparire, deve essere regolata, perché non si arrivi a ciò che avviene presso i cattolici, dove la gran massa di fedeli si confessa nell’infanzia e prima della morte». Un altro estremo è «l’abuso della confessione», quando alcuni vogliono confessarsi troppo frequentemente e con troppi dettagli: è «un terreno propizio all’illusione spirituale». Padre Vsevolod ritiene che sia possibile elaborare «istruzioni pastorali» sulla pratica della comunione di differenti categorie di parrocchiani: così, i parrocchiani permanenti e «coscienti» potranno essere ammessi alla comunione dopo la benedizione che conclude una confessione collettiva e la preghiera d’assoluzione. Tuttavia, in una grande città è difficile che un prete conosca tutti i suoi parrocchiani.

L’essenziale è che la confessione non divenga una formalità: essa deve essere il cardine principale dello stato spirituale del fedele. «Bisogna parlare di meno della confessione in termini di lista di peccati, e di più in termini di disposizione spirituale, di purezza di cuore, di riconciliazione con il prossimo, di decisione cosciente di riparare i propri peccati, invece che di elencarli soltanto», ha detto padre Vsevolod.

La sua esperienza pastorale ha convinto padre Vladimir Vorobiev che «se si obbliga la gente alla pratica settimanale del sacramento della penitenza, questo porta a perversioni spirituali». Una tale pratica non è mai esistita da alcuna parte nel corso della storia, ha affermato. Inoltre, è fisicamente impossibile confessare tutti i fedeli di comunità che contano più di mille persone. Per di più «l’esigenza formale della confessione obbligatoria prima della comunione è irrealizzabile». La confessione collettiva non è la migliore soluzione: oggi «se non si conducono le confessioni collettive come le faceva padre Giovanni di Kronstadt», la confessione collettiva si riduce, generalmente, alla lettura formale di una lista di peccati e «il sacramento della penitenza non ha luogo». Tuttavia non si può nemmeno senza rischio di sacrilegio lasciare senza controllo che qualunque persona «appena arrivata dalla stazione» si accosti al calice.

Padre Vladimir ha preconizzato il ritorno alla «pratica antica» della benedizione preliminare: il prete della parrocchia sa a chi può donare la benedizione sotto forma della preghiera di assoluzione. Quanto a chi viene per la prima volta o con delle colpe gravi, li si deve incitare a prendere parte al sacramento della penitenza, senza fare corrispondere il tempo della confessione con quello della liturgia eucaristica.

Padre Valerian Krechetov, nel corso di uno scambio di opinioni con padre Vladimir, ha rimarcato che «la confessione collettiva può essere a volte molto efficiente». Ha espresso la sua apprensione riguardo al rischio di scandalo che può comportare la distinzione tra chi deve digiunare prima della comunione e chi è dispensato dal digiuno. Ci vogliono delle regole, senza regole tutto si distrugge, ma non si deve dimenticare l’essenziale; si deve chiedere che la grazia di Dio orienti i pastori nella via della fede, ha sottolineato il prete. Padre Vladislav Sveshnikov ha espresso la sua inquietudine di fronte «all’alterazione del sacramento della penitenza che diventa un saggio psicologico» o una confessione «di tipo legalista». Padre Vladimir Vorobiev ha ugualmente richiamato l’alterazione del sacramento della penitenza sostituito da «un incontro con il prete», per il quale si dovrebbe riservare un altro momento.

Facendo il bilancio del seminario, numerosi partecipanti hanno notato la ricchezza della discussione, che si è svolta «in uno spirito fraterno». Il vescovo Mark ha giudicato importante che «questo tema essenziale abbia incominciato a essere discusso in un forum che nessuno potrebbe accusare di modernismo». Una tale discussione, a suo parere, risponde al «principio reale di conciliarità». L’archimandrita Aleksij Polikarpov ha proposto di formulare le conclusioni di questa discussione per uso dei vescovi, «che sono ben coscienti del problema». Si è deciso di elaborare un progetto di «Guida per il cristiano che desidera accostarsi al santo calice per comunicare al corpo e al sangue vivifico di Cristo sovrano» e di sottomettere questo testo ai vescovi. Padre Nikolaj Balashov sostiene che si deve continuare la discussione delle questioni sollevate durante il seminario. Il vescovo Mark ha espresso la speranza che questa discussione «possa divenire un momento fondamentale nella vita della nostra Chiesa».

 

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Fonte: Seminario del 26/12/2006 al Monastero di S.Daniele in Mosca - ortodossiatorino.it

 

 

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