Il Padre Nostro

Credo che le cose siano semplici se recitiamo in modo cosciente la preghiera che Dio ci ha insegnato. Cominciamo adesso ad esaminare le cose iniziando dalla fine: se perdoniamo subito i nostri nemici, se ci nutriamo con il pane celeste, se nei momenti difficili della nostra vita pensiamo "Mio Dio, sia fatta la tua volontà", e se consideriamo Dio nostro Padre, allora pur essendo deboli, saremo allo stesso tempo, potentissimi.

vigna del signoreHo scelto un pezzo dall'Evangelo, dalla Sacra Scrittura, e in particolare il "Padre nostro", perché ritengo che sia la preghiera più rappresentativa, essendo la preghiera "del Signore", la preghiera che il Signore ci ha dato.

Il Signore, ritengo, ci ha insegnato la preghiera che Lui compose, ci ha dato la vita che Lui visse e ci ha insegnato Sé stesso: questa è la verità di Gesù Cristo. Gesù disse: «Io sono la vite e voi i tralci» (Giovanni 15, 5). Così come il rapporto tra la vite ed i tralci è un rapporto organico e la linfa della vite passa silenziosamente ai tralci, nello stesso modo anche il Signore ci diede tutto il Suo essere. Proprio per questo credo che attraverso questa preghiera – a condizione di farla con consapevolezza e di sentirla nel profondo del cuore – si possa vivere in Gesù Cristo.

Cominciamo però a leggere questa preghiera, seguendola frase per frase.

La prima frase dice: Padre nostro che sei nei cieli.

Il nostro grande peccato, credo, sia uno: spesso ci scoraggiamo e dimentichiamo non tanto la nostra debolezza, ma il fatto che Dio ci ama. L'amore di Dio e il fatto che Lui è nostro Padre costituiscono per noi un vero capitale.

Si dice spesso: il padre e la madre amano il figlio non perché è buono, ma perché è loro figlio. Così è molto importante acquisire questa consapevolezza e sentire che possiamo considerare Dio nostro Padre. Questa parola ha un ampio significato. Ci pone subito nello spirito della Chiesa. Uno può essere orfano, può essere stato abbandonato dai suoi, può aver perduto tutto e sentirsi solo, ma se considera Dio come suo Padre, si sente sicuro e il mondo diventa la sua casa.

Oserei anche dire questo: non sarebbe forse meglio che tutti ci abbandonassero affinché fossimo in grado di sentire l'amore di Dio? Ritengo si possa dire anche questo. Per tal motivo, il Signore dice nelle Sue beatitudini: «Beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete, ...». In altre parole, magari fossimo privi dell'affetto umano o avessimo perduto tutto, perché questo ci farebbe meglio percepire Dio come nostro Padre.

Ricordo una volta a Parigi, chiedemmo ad una vecchia russa cosa significasse essere monaco e lei, spontaneamente, rispose: «Monaco è un uomo pendente da una fune e questa fune è l'amore di Dio». Credo questo si possa dire di ogni persona: l'uomo possiede una forza nella sua vita e questa forza consiste nel fatto che Dio lo ama. Siamo venuti nella vita e speriamo, perché qualcuno ci ama, qualcuno è forte nonostante il fatto che noi siamo deboli.

"Padre nostro che sei nei cieli". Il nostro Padre dunque non è qualcuno che può essere trovato qua o là, ma si trova nei cieli, Padre celeste, e questo significa che tutto il mondo diventa la nostra casa. In questa maniera possiamo sentirci liberi e a nostro agio. Per questo motivo, si narra che quando Evagrio il Pontico, uno dei primi asceti di Nitria, fu informato della morte di suo padre, reagì spontaneamente e disse: «Non siate irriverenti, mio Padre non è morto!».

Così, già dalla prima frase, il Signore ci dà coraggio, ci fa sentire Suoi fratelli, ci dice di considerare Suo Padre anche nostro Padre. I Padri della Chiesa dicono: Chiamiamo Dio "Padre nostro"– non diciamo semplicemente Padre mio – e questo significa che Dio è il Padre di tutti, e così siamo tutti fratelli.

La frase seguente dice: Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno.

In queste due frasi, i Padri della nostra Chiesa, vedono la presenza del Figlio e del Santo Spirito. Nelle tre frasi "Padre nostro... venga il tuo regno" è presente tutta la Santa Trinità. Il Nome di Dio Padre è il Verbo di Dio Padre, il Figlio di Dio e il regno di Dio è il Santo Spirito. Esiste anche una versione anteriore dell'Evangelo che, al posto di "venga il tuo regno", dice «venga il Tuo Santo Spirito e ci purifichi». È dunque evidente la presenza della Santa Trinità. E quello che professiamo dicendo "Credo in un Dio, Padre onnipotente... ed in un Signore Gesù Cristo... e nel Santo Spirito...".

"Sia santificato il tuo nome...". Noi preghiamo che sia santificato il nome di Dio. Qui, soffermandoci sulle parole dei Padri, che il nome di Dio Padre è il Figlio e il Verbo di Dio, la frase "sia santificato il tuo nome" si può collegare con ciò che dice il Signore «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità» (Giovanni 17, 19). Le parole «consacro me stesso» del Signore, significano che io sacrifico me stesso affinché i fedeli si consacrino nella verità. In questo modo, dicendo "sia santificato il tuo nome" è come se dicessimo sia santificato il sacrificio del Figlio e del Verbo di Dio. Proprio per questo il Signore rappresenta la nostra consacrazione, redenzione e giustizia. La frase "venga il tuo regno" significa, in sostanza, venga il Santo Spirito nella Pentecoste. Il Santo Spirito viene sempre e la Chiesa è una continua Pentecoste.

In queste tre frasi dunque vediamo la presenza di tutta la Santa Trinità. Possiamo anche vedere la realtà dell'invocazione nella preghiera centrale della Sacra Liturgia, con la quale il sacerdote prega il Padre Celeste di mandare lo Spirito santissimo e che di far sì che il vino e il pane diventino il Corpo e il Sangue di Cristo.

La quarta frase è la frase centrale del "Padre nostro" e il punto centrale della vita del Signore e della nostra vita: Sia fatta la tua volontà.

Forse, la frase "sia fatta la tua volontà" può essere paragonata all' "Amìn" dell'invocazione e costituisce anche la conclusione e la ricapitolazione delle frasi precedenti "sia santificato il tuo Nome", "venga il tuo regno", "sia fatta la tua volontà". Ci riferiamo al nome di Dio, dicendo sia santificato il Suo nome, venga il Suo regno, sia fatta la Sua volontà. Offriamo tutto a Dio e questo si conferma e si ricapitola in questa frase: "Sia fatta la Tua volontà".

Per poter capire meglio cosa significa la frase "sia fatta la Tua volontà", è bene ricordare ciò che Dio disse appena scese dal Cielo: «Sono disceso dal cielo per fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera». Poi dice «il mio giudizio è giusto...»; il mio giudizio è giusto «perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato». Ricordate quando Cristo incontrò la Samaritana? Appena arrivati i discepoli dissero al Signore: «Rabbì, mangia», e lui rispose «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete... Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera».

Vuole dire, in altre parole, quello che mi nutre è fare la volontà del Padre che mi ha mandato. Credo che questo sia l'elemento sostanziale che determina sia la vita del Signore sia la nostra. Per questo vediamo in seguito il Signore al Getsemani, nel momento della vera angoscia – si potrebbe anche paragonare al momento di un forte terremoto quando tutto si mette alla prova, e il Signore «in preda all'angoscia, pregava più intensamente», dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà» (Matteo 26, 42). Il Signore stesso, nel momento difficile, disse proprio quello che c'insegnò a dire e poi riprese la strada verso la passione, calmo ma onnipotente, appunto perché dicendo "non come voglio io, ma come vuoi tu" si volta verso sé stesso, prende forza e prosegue.

Dovremmo soffermarci adesso sulla nostra vita. Lottiamo, cominciamo, abbiamo dei programmi, proseguiamo, ma fronteggiamo a volte anche delle difficoltà. Credo che non ci sia una persona nel mondo che non abbia vissuto il proprio Getsemani. Nel momento in cui tutto crolla, allora e solo allora tutto resuscita e solo allora si può capire ciò che disse il Signore, faccio la volontà del Padre che mi mandò e non la mia, proprio questo mi nutre. Nel momento in cui tutto sembra distrutto e non c'è né speranza né alcuna luce, quando tutto è coperto dalle tenebre, se uno dice "Mio Dio, sia fatta la tua volontà" allora prende coraggio, risuscita e prosegue con reverenza e fermezza sulla via, sul passaggio, verso la Pasqua che è Cristo, in un'evoluzione che non si ferma mai. E alla fine, uno ringrazia Dio non per le cose facili, ma per le difficoltà che ha dovuto affrontare nella vita e per il suo Getsemani che, attraverso il crollo della sua persona, gli ha permesso di esprimere liberamente il proprio pensiero per concludere: "Mio Dio, sia fatta la tua volontà".

Secondo me la frase "sia fatta la tua volontà" assomiglia con il "sia fatto" creativo (quando il Signore «Disse: sia (...) e (...) fu, disse (...) e così avvenne...») e con il "così sia" liturgico (quando il Sacerdote celebrando il mistero della Santa Eucaristia, prega il Padre di mandare il Santo Spirito e di far diventare il pane, Corpo di Cristo, e il vino nel calice, Sangue di Cristo, e conclude con le parole "Amìn, Amìn, Amìn" mostrando che il mistero si è celebrato. C'è un rapporto tra il "così sia" creativo e quello liturgico). Quando uno dice consapevolmente "mio Dio, sia fatta la tua volontà nei miei riguardi" la frase assomiglia a quello che la Madre di Dio disse all'Arcangelo Gabriele: «Avvenga di me quello che hai detto», cioè sia fatta la tua volontà, mio Dio, nei miei riguardi, nella mia esistenza, dentro di me. Allora l'uomo si santifica e ne prende coraggio.

L'abate Isacco dice che l'uomo può, obbedendo a Dio, diventare dio per grazia e può anche creare dei mondi nuovi dal niente. Allora, l'uomo diventa una persona assolutamente nuova, il debole si rafforza e il morto riceve nuova vita e va avanti. A questo punto uno capisce che arrivare a dire tranquillamente "Mio Dio, sia fatta la tua volontà e non la mia" rappresenta per noi un vero e proprio cibo.

Proprio per questo si vede che il vero teologo non è colui che frequenta l'università e si laurea con il massimo dei voti perché ha potuto memorizzare alcune date e alcuni nomi o perché fa un compito. Il vero teologo è invece colui che conosce qual è la forza e la verità dell'insegnamento del Signore, colui che nel momento difficile dice: "sia fatta non la mia volontà ma la tua". Allora tutto Dio entra in lui, rende l'uomo stesso teologo, lo rende dio per grazia e prosegue sulla strada di Gesù Cristo in un'altra maniera. E così come il Signore risorto camminava, anche se le porte erano chiuse, nello stesso modo l'uomo, debole sì ma anche onnipotente grazie a Dio, va avanti con problemi che possono essere o non essere risolti. Così, se affrontiamo delle difficoltà, esprimiamo le nostre riflessioni liberamente, che ognuno si esprima nella maniera in cui vuole esprimersi, perché Dio è nostro Padre. Poi, dobbiamo dire: mio Dio, io non so, tu solo sai, tu mi ami più di quanto io ami loro e tutti appartengono più a te che a me. Proprio per questo, sia fatta la tua volontà. Se la tua volontà ha l'apparenza di una catastrofe, allora sia la catastrofe. Meglio vivere una catastrofe voluta da Dio che un successo, frutto della volontà umana, che può dimostrarsi una vera e propria catastrofe. Il detto "sia fatta la tua volontà" è la frase che ci nutre e ci fa risorgere in un altro luogo.

La frase seguente è: Come in cielo così in terra.

Qui, secondo san Giovanni Crisostomo, Cristo considera tutti noi responsabili della salvezza del mondo. Non dice "Mio Dio, sia fatta la tua volontà nella mia vita", ma sia fatta la tua volontà in cielo e in terra, su tutta la terra. Mi ricordo che una volta, nell'isola di Kos, incontrai una vecchietta. Mi disse: «Io non sono istruita e non conosco delle preghiere, né il Padre nostro conosco né il Credo. Proprio per questo, ogni sera, prima di andare a letto, faccio il segno della croce e prego Dio di dare la luce del giorno a tutto il mondo». E mi chiese: «Faccio bene?». Io risposi: «Fai bene».

La vecchietta aveva capito il segreto di questa preghiera. Poiché viveva nella Chiesa e la grazia di Dio circolava silenziosamente dentro di lei, così come la linfa passa dalla vite ai tralci, pur non essendo istruita pregava Dio di dar la luce a tutto il mondo. Diciamo dunque "come in cielo così in terra".

Più avanti diciamo: Dacci oggi il nostro pane.

Quando arriviamo al punto di attraversare Getsemani e dire in un momento difficile "Mio Dio, sia fatta la tua volontà", senza insofferenza o irritazione ma con rassegnazione e calma, allora ritengo che il nostro stomaco spirituale possa davvero digerire il vero nutrimento. In questo caso il vero nutrimento è il Signore stesso, Gesù Cristo. Lui stesso disse: «Sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno» (Giovanni 6, 51). In altre parole uno può prendere adesso la grazia e la forza che più tardi lo aiuteranno a vincere la morte vale a dire: pur essendo ancora sulla terra ha già acquistato la vita eterna.

Quando il Signore però dice «dacci oggi il nostro pane», cosa vuol dire esattamente? Secondo i Padri, "quotidiano" ("epioussios" in greco, n.d.t.) significa il pane che riguarda la sostanza ("oussia")1 dell'uomo o il pane del giorno dopo ("epioussis iméras"). Il giorno dopo si riferisce al secolo dopo, cioè al Regno dei Cieli. Così, preghiamo Dio che ci renda degni del giorno dopo, del pane celeste, che ce lo dia già da ora come un vero nutrimento. Mentre siamo ancora vivi, mentre viviamo in questo mondo, il pane vero che ci nutre sarà il pane degli angeli, il pane del "giorno dopo", il pane della vita futura e del regno.

E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

A questo punto ci ricordiamo della preghiera del Signore che disse di coloro che lo condussero alla crocifissione: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Luca 23, 34). Il Signore li perdonò e siccome non c'era nessuna giustificazione, trovò una giustificazione e cioè che non sapevano cosa facevano.

"E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". La frase contiene qualcosa di più esigente. Il Signore non ci dice di pregare Dio Padre perché ci aiuti a perdonare gli altri, ma affermiamo che noi in ogni caso perdoniamo. Gregorio di Nissa afferma che è come se noi dicessimo a Dio Padre che ci prenda a modello e che ci perdoni.

Ma se noi non perdoniamo, allora non si può fare niente. Il Signore lo disse chiaramente: «Ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Matteo 6, 15). Possiamo frequentare il catechismo, partecipare a conferenze, andare in chiesa, ricevere la Santa Comunione e avanzare nella vita spirituale, fare dei miracoli, eppure non perdonare qualcuno. Se non perdoniamo, non succede assolutamente niente.

A questo punto vorrei ricordare le parole di San Cosma d'Etolia parlando alle persone che si rivolgevano a lui diceva: «Mi fa male sapere che non ho tempo per vedere ognuno di voi separatamente, affinché vi confessiate e mi diciate le vostre lamentele e io vi possa consigliare secondo ciò che Dio mi detta. Non potendo vedervi tutti, vi dirò alcune cose che dovete applicare. Se le applicherete tutto andrà bene. La prima cosa è perdonare i vostri nemici». E per far capire quello che intendeva, fece un esempio: «Pietro e Paolo volevano confessarsi. Pietro mi disse: Santo uomo di Dio, io fin da piccolo ho seguito la retta via. Vado in chiesa, faccio del bene, prego, faccio delle elemosine, ho costruito chiese e monasteri. Ho però un piccolo difetto, non perdono ai miei nemici». San Cosma continuò dicendo: «Per me, questa persona era destinata all'Inferno e dissi: Quando morirà, butteranno il suo corpo per strada e sarà mangiato dai cani. Poco dopo venne Paolo, che mi confessò: Io invece fin da piccolo ho preso la strada sbagliata, ho rubato, ho disonorato, ho ucciso, ho bruciato chiese e conventi, in poche parole sono come un indemoniato. L'unica cosa buona è che perdono ai miei nemici». San Cosma concluse dicendo: «Io scesi, lo abbracciai, lo baciai e lo invitai a venire in chiesa tre giorni dopo per ricevere la comunione».

Quello che aveva tutto il bene, lo contaminava perché non perdonava i suoi nemici. È come se avessimo 100 chili d'impasto: aggiungendo un po' di lievito tutto l'impasto si guasta. D'altro canto, quello che aveva commesso tutto il male, perdonava i suoi nemici e questo ebbe l'effetto della fiamma di una candela che brucia tutto. Credo che questo sia fondamentale. A volte, la nostra vita esala strani odori invece di esalare il profumo di Cristo e noi non sappiamo il perché. Perdoniamo dunque. Non teniamo rancore. Solo allora avanzeremo nella vita. Se non agiamo così, tutte le nostre teologie e tutta la nostra santità sono vane. Proprio per questo il Signore dice «e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori...». Una piccola cosa basta per metterci nel Regno dei Cieli e la stessa cosa basta per macchiare la nostra intera vita.

E non [metterci alla prova]*

Diciamo "non [metterci alla prova]", ma d'altro canto san Giacomo l'apostolo dice: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove» (Giacomo 1, 2). A questo punto sorge un dubbio, chiarito dai Padri. San Massimo il Confessore afferma che ci sono due tipi di tentazione: da un canto ci sono le tentazioni facoltative dei piaceri, da dove scaturisce il peccato, e noi preghiamo Dio di non permetterci di essere travolti dalla tentazione. Dall'altro canto ci sono altre tentazioni e prove, imposte e penose, che scandalizzano colui che è portato al peccato e bloccano il peccato. Perciò, preghiamo di non cadere nelle prime tentazioni, quelle facoltative, dei piaceri, mentre se si presentano a noi le altre prove, le dobbiamo accettare con gioia siccome ci portano la conoscenza, l'umiliazione e la grazia del Santo Spirito. Ricordatevi ciò che è scritto nei "Detti dei Padri del Deserto": «Se togliamo queste prove dalla nostra vita, nessuno si salverà mai».

Ma liberaci dal [maligno]*

L'ultima frase di questa preghiera si riferisce al [maligno]. La prima frase si riferisce al Signore con l'invocazione "Padre nostro". Dio è la prima parola, la prima verità.

L'ultima parola invece è il [maligno]. La nostra vita si trova tra Dio e il [maligno]. Il [maligno] cerca di indurre tutti in tentazione: così fece con Adamo in Paradiso, e lo stesso successe anche quando nostro Signore Gesù Cristo andò nel deserto. Dice il Signore: «Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera e il digiuno». Non possiamo liberarci dal diavolo se non con la preghiera e il digiuno. Non possiamo scacciare il [maligno] con la logica, così come non possiamo eliminare un carcinoma con delle aspirine. Il diavolo non va via con le furbizie. Un monaco sostiene che anche l'avvocato più abile non riesce a vincere il diavolo più piccolo. Per questa ragione non si deve discutere con il diavolo. Lasciamolo e andiamo via.

Il problema nella vita spirituale è quello di poter acquisire il discernimento spirituale, di poter chiarire le cose per essere in grado di vedere se una cosa è opera di Dio o del diavolo. Certo, uno può anche dire: io sono una persona debole, come posso acquisire questa abilità? Credo che le cose siano semplici se recitiamo in modo cosciente la preghiera che Dio ci ha insegnato. Cominciamo adesso ad esaminare le cose iniziando dalla fine: se perdoniamo subito i nostri nemici, se ci nutriamo con il pane celeste, se nei momenti difficili della nostra vita pensiamo "Mio Dio, sia fatta la tua volontà", e se consideriamo Dio nostro Padre, allora pur essendo deboli, saremo allo stesso tempo, potentissimi. Se invece proseguiamo nel cammino della vita seguendo la nostra volontà e non perdoniamo i nostri nemici allora il diavolo da formica, diventa un leone che non potremo mai vincere. Dobbiamo invece dire: sia fatta la volontà di Dio, io non so proprio niente. Dobbiamo perdonare sempre: nel momento in cui ci uccidono, noi dobbiamo essere in grado di dire che non serbiamo rancore all'assassino, che non importa, che Dio è grande. In questo caso, l'uomo, questo essere debole, diventa potentissimo e può vincere il diavolo, che nei suoi confronti sembra una formica. Solo così si può andare liberamente avanti nella vita.

Vi ricordate che al Getsemani, il Signore «in preda all'angoscia, pregava più intensamente». La Sacra Scrittura dice che «gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo» (Luca 22, 43). E quando nel deserto disse: «Vade retro, Satana! Sta scritto: adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto, allora il Diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano» (Matteo 8, 10-11). Lo stesso succede anche a noi. Se recitiamo questa preghiera, se viviamo questa vita, allora il diavolo va via e al suo posto penetra in noi il discernimento spirituale e gli angeli sono al nostro servizio. Possiamo sentire dentro di noi la compagnia degli angeli, possiamo già vivere in Cielo e usare queste frasi del Signore e dire che la nostra vita è costruita dagli angeli e coperta da Dio. Allora il piccolo uomo diventa per grazia di Dio potentissimo.

 

__________________

Note della redazione
1 Nella versione greca del "Padre Nostro", la frase è così tradotta in italiano: Dacci oggi il nostro pane sostanziale.
* Dalla traduzione in italiano della versione greca del "Padre Nostro".

 

 

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Fonte: apostoliki-diakonia.gr

 

 

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