Omelia per la Domenica dell’Ortodossia
«In verità, in verità vi dico: vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo» (Gv 1, 43-51).
© Cari fratelli e care sorelle in Cristo!
Con questa lettura dal vangelo di san Giovanni, attraverso la promessa ai discepoli, il Cristo ci invita a meditare sulla festa che celebriamo oggi, la prima domenica della santa Quaresima, la Domenica dell’Ortodossia, il trionfo della fede.
La festa di oggi, che commemora la restituzione del culto delle sante icone, venne istituita nel IX secolo (843), al tempo dell’imperatrice Teodora e del patriarca Metodio, dopo la sconfitta finale dell’eresia iconoclasta e la proclamazione della venerazione delle sante icone: l’icona del nostro Salvatore, della Madre di Dio e dei santi di Dio.
Il senso di questa festa si estende fino ad essere celebrazione della vittoria della Chiesa contro tutte le eresie, vecchie e nuove. Di fatto l’eresia è concepita nell’esperienza della Chiesa come una malattia del corpo ecclesiale, malattia che consiste nell’opporsi alla venuta di Cristo nella carne e alla realtà dell’unione di Cristo con la nostra umanità. Possiamo quindi affermare, oggi, che questa è la festa della salvezza e della santità che è nella Chiesa.
Prima della istituzione del Trionfo dell’Ortodossia, questa festività era dedicato alla memoria dei santi profeti Mosè, Aronne e Samuele, i quali videro e conobbero in anticipo, nello Spirito, la realtà della comunione con il Signore. San Giovanni Damasceno sottolinea l’analogia che sussiste tra le visioni dei profeti e le icone dipinte. Quel che i Profeti hanno visto con i loro «occhi spirituali», così come gli apostoli sul Tabor, è presente nelle icone. Le icone sono infatti l’attualizzazione visibile della presenza ipostatica del Logos incarnato e dei suoi santi [1].
Attraverso la promessa del Signore nostro ai suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico: vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo», è l’intera Chiesa di Dio che è invitata a vedere, toccare e gustare la realtà della inabitazione di Dio nel mondo, attraverso Colui che ci parla e si lascia vedere, cioè il Cristo nostro Signore.
Attraverso il linguaggio biblico e mediante la sua parola, il Cristo ci rivela il mistero più segreto della sua persona divino-umana e del suo ruolo nel mondo. È attraverso di Lui, attraverso la sua persona iconica, che la comunione visibile dei credenti con Dio viene stabilita in modo definitivo.
«Vedrete i cieli aperti!».
Con la sua venuta in mezzo a noi i cieli sono ormai «lacerati», e non sono soltanto i santi angeli a salire e scendere sul Figlio dell’uomo, bensì lo Spirito Santo, che, in occasione del Suo battesimo è disceso su di Lui affinché noi saliamo a Lui. Come ci narra il santo veggente dell’Apocalisse, «rapito dallo Spirito» nel giorno del Signore: «Vidi una porta aperta in cielo e una voce mi disse “Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito”» (Apc 4, 1).
Non è soltanto una visione delle realtà celesti ciò che contempliamo in questi giorni della Santa Quaresima, bensì un «cammino» che è stato stabilito tra il cielo e la terra in modo irreversibile da parte di questo misterioso «Figlio dell’uomo», che si lascia vedere, raccontare e descrivere.
Ma se i cieli sono aperti, è affinché noi conserviamo, interiormente, l’eredità di questa rivelazione, come un dono ricevuto. La parola del Cristo ci annuncia che in Lui, in Cristo, la rivelazione è permanente. «Voi vedrete i cieli aperti! Il Cristo è divenuto per la Chiesa un cammino», come la scala del patriarca Giacobbe (Gen 12) per il popolo di Dio della prima Alleanza, poiché è in Lui e per Lui che si realizza il Vangelo e la parola del Padre suo.
Questa scala e questo cammino stabilito tra il cielo e la terra sono proposti ai discepoli e a noi in occasione dell’incontro con Filippo e Natanaele. «L’abbiamo trovato – dice Filippo a Natanaele – abbiamo trovato il Messia annunciato dalla Scrittura intera, il Cristo è il figlio di Giuseppe di Nazareth».
Filippo dice: «vieni e vedi». Natanaele va allora dal Cristo e qui cogliamo la situazione paradossale che si crea tra il Maestro e il discepolo: colui che era sotto il fico e che va verso il Cristo è visto per primo da Colui che egli voleva vedere. È il Cristo che vede per primo quelli che vanno verso di lui, poiché egli conosce perfettamente la nostra persona. Egli conosce Natanaele qual vero israelita, senza astuzia, senza frode né menzogna come lo fu il suo antenato Giacobbe che si guadagnò la benedizione paterna (Gen 27, 35-36).
Natanaele si stupisce di esser stato visto e conosciuto così intimamente, poiché il Cristo gli dice: «Quando eri sotto il fico, io ti ho visto». Ma cosa significa questa frase enigmatica: «Ti ho visto sotto il fico»?
Il Cristo ci vede sotto il nostro fico, sotto il nostro albero della conoscenza, sotto la nostra sottomissione alla sua Legge divina, istituita attraverso i suoi servitori, i Profeti ed i giusti. Egli ci vede sotto la sua Legge; vede la nostra felicità e la nostra disperazione; ci vede prima del nostro incontro con Lui. E, non è tutto: egli ci dà il più grande dei doni: vederlo con i nostri occhi spirituali. Natanaele, nel suo desiderio, avanzando verso di Lui scopre in Lui più che un semplice maestro. E lo confessa: «Rabbi tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re di Israele».
Poteva «Il Figlio di Dio», Colui che ci conosce nel profondo di noi stessi, restare invisibile ai nostri occhi? E infatti, dopo aver detto «Ti ho visto quando eri sotto il fico», non doveva Egli stesso rivelarsi ai nostri occhi?
Stando a questa pericope evangelica, Egli accetta la confessione di Natanaele e fa ai suoi discepoli una promessa inaugurale dicendo: «vedrai meglio ancora!». «Tu vedrai meglio ancora!». Questa visione sorpasserà tutte le Scritture messianiche che parlano di Lui, poiché Lui stesso è divenuto la Luce dei nostri occhi che ci fa leggere la Scrittura direttamente sul suo volto iconico.
Senza di Lui, è impossibile venerare le icone, poiché Lui è per eccellenza l’Icona del Dio invisibile (icôn tou Theou tou aoratou: Col 1,15). Senza di Lui la vittoria sul peccato è impossibile, poiché è Lui, che mediante la sua morte, ha sconfitto la morte!
Prima del suo incontro con Lui ignoravamo la sua presenza nello spazio ecclesiale, non lo conoscevamo. Ma oggi noi esultiamo di gioia, in questo periodo di Quaresima, poiché restiamo in comunione incessante con Lui, albero della conoscenza e della vita. Esultiamo nella gioia, poiché la comunione definitive tra il cielo e la terra, tra Dio e il mondo è stabilita. Esultiamo nella gioia, poiché la prosecuzione del disegno di Dio si dà grazie alla sua resurrezione.
Vi annunciamo, cari fratelli e care sorelle, questa visione, questa gioia vittoriosa dell’Ortodossia e la realizzazione di questa promessa divina rivelata all’inizio della Santa Quaresima. Non è soltanto una promessa escatologica, futuribile, riguardante la sua seconda venuta, che vi annunciamo, ma un’ascesa verso la luce pasquale attraverso quest’immagine della scala angelica.
Questa ascesa è iscritta nell’esperienza della fede vittoriosa dell’Ortodossia: vittoria sul male, sul peccato e sulla morte. Il cammino della nostra fede ci conduce verso una comunione e una partecipazione alla gloria pasquale del Signore. Se ci poniamo in questo movimento di ascesi quaresimale, Lui sarà anche Colui che viene (Erchomenos), il Cristo della parusia, che viene verso noi nel suo Spirito Santo. Ormai non dobbiamo più cercare un’altra scala, né un’altra vittoria, poiché essa è qui, ora che il Figlio dell’uomo ha riunito la terra ed il cielo e ha manifestato la sua vittoria.
È sull’avanzamento con la fede e nella fede che si radica la nostra straordinaria esperienza dell’Ortodossia, che si rinnova con nuove modalità e in una fase nuova della storia della Chiesa. Cari fratelli e care sorelle, preghiamo e chiediamo al Signore che la nostra Ortodossia locale, qui in Occidente, salga su questa scala, che contempla la vittoria celeste del Figlio dell’uomo, attraverso il quale l’universo intero è segnato, e che ciascuno di noi sia ricreato come un’icona secondo l’immagine celeste del nostro Salvatore, Gesù Cristo, al quale spetta la gloria e l’onore con il suo Padre indescrivibile ed il suo Spirito Santo, effuso in tutti i cuori, tale che questa sia una creazione sempre nuova.
Amen.
(p. Nicolas Cernokrak, Decano dell’Istituto Saint-Serge, rettore della parrocchia di San Serafino di Sarov a Parigi)
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Note
[1] Saint Jean Damascène, Le Visage de l’Invisible, Migne, « Les pères dans la foi », II, 20ss.
Tratto da "esarcato.it/archivio_testi/omiletica/02_omelia_gv1_43_51.html"