Il padre Rufo disse: «Chi vive sottomesso a un padre spirituale ha più merito di chi si ritira da solo nel deserto». E riferì ciò che aveva raccontato uno dei padri: «Vidi, disse, quattro ordini nel cielo: il primo, l'uomo infermo e grato a Dio5; il secondo, chi pratica l'ospitalità e in essa persiste e serve; il terzo, chi prosegue la solitudine e non vede uomo; il quarto ordine, chi vive nella sottomissione a un padre spirituale e gli sta soggetto per amore del Signore: per la sua obbedienza costui portava un collare e un bracciale d'oro, e aveva più gloria degli altri. Io — disse — chiesi alla mia guida: − Come costui che è il più piccolo ha gloria più grande degli altri? − Perché, mi rispose, chi pratica l'ospitalità segue il proprio volere, chi vive nel deserto si è ritirato di sua volontà; ma costui, che rimane sottomesso, ha abbandonato ogni sua volontà e pende da Dio e dal proprio padre; per questo ha ricevuto gloria più grande degli altri; perciò, o figli, è buona l'ubbidienza che è compiuta per il Signore. Avete incominciato a intravedere, figliuoli, una piccola traccia di questa virtù. O ubbidienza, salvezza di tutti i fedeli! O ubbidienza, madre di tutte le virtù! O ubbidienza, rivelatrice del regno! O ubbidienza, che apri i cieli e innalzi gli uomini da terra! O ubbidienza, nutrimento di tutti i santi, da te allattati e per mezzo tuo resi perfetti! O ubbidienza, che abiti con gli angeli!»
Il padre Rufo disse: «Chi vive sottomesso a un padre spirituale ha più merito di chi si ritira da solo nel deserto». E riferì ciò che aveva raccontato uno dei padri: «Vidi, disse, quattro ordini nel cielo: il primo, l'uomo infermo e grato a Dio5; il secondo, chi pratica l'ospitalità e in essa persiste e serve; il terzo, chi prosegue la solitudine e non vede uomo; il quarto ordine, chi vive nella sottomissione a un padre spirituale e gli sta soggetto per amore del Signore: per la sua obbedienza costui portava un collare e un bracciale d'oro, e aveva più gloria degli altri. Io — disse — chiesi alla mia guida: − Come costui che è il più piccolo ha gloria più grande degli altri? − Perché, mi rispose, chi pratica l'ospitalità segue il proprio volere, chi vive nel deserto si è ritirato di sua volontà; ma costui, che rimane sottomesso, ha abbandonato ogni sua volontà e pende da Dio e dal proprio padre; per questo ha ricevuto gloria più grande degli altri; perciò, o figli, è buona l'ubbidienza che è compiuta per il Signore. Avete incominciato a intravedere, figliuoli, una piccola traccia di questa virtù. O ubbidienza, salvezza di tutti i fedeli! O ubbidienza, madre di tutte le virtù! O ubbidienza, rivelatrice del regno! O ubbidienza, che apri i cieli e innalzi gli uomini da terra! O ubbidienza, nutrimento di tutti i santi, da te allattati e per mezzo tuo resi perfetti! O ubbidienza, che abiti con gli angeli!»
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Note
5 Cf. Giuseppe di Tebe; Coprio 1. Abbiamo visto che, con forza ancora più grande, Poemen diceva: «Se nello stesso luogo vi sono tre, e l'uno vive nella solitudine e nella quiete, l'altro è malato e ringrazia, il terzo serve con mente pura, i tre compiono un'opera sola» (n. 29). La malattia è tenuta in grande considerazione presso i maestri del discernimento e della condiscendenza, coloro cioè che non si muovono su una linea volontaristica e non sopravvalutano il povero sforzo dell'uomo rispetto alle prove passive mandate da Dio per purificare e confermare all'immagine del suo figlio sofferente. «Non scoraggiamoci nella malattia, poiché l'Apostolo ha detto: "Quando sono debole, allora sono forte" (2Cor 12, 10). Rendiamo grazie a Dio in tutto... (cf. 1Ts 5, 18)» (Barsanufio, ep. 74). «Dove vi è debolezza, là vi è invocazione di Dio» (ibid. ep. 510). La malattia costituisce uno stato di beatitudine, la beatitudine degli afflitti, non resta che invocare e rendere grazie. «La malattia vale più di una disciplina ed è contata come una pratica ascetica o anche di più a colui che la sopporta con pazienza e rendendo grazie a Dio. E da questa pazienza egli raccoglie il frutto della salvezza. Così dunque, invece di indebolire il corpo con i digiuni, esso si indebolisce da sé» (ibid., ep. 78). Il medesimo pensiero si trova in Sincletica 8, che conclude poi con queste parole: «È questa la grande ascesi: resistere nelle malattie ed elevare a Dio inni di grazie». Secondo Diadoco di Foticea, Basilio il Grande e altri grandi della tradizione, la malattia equivale alla tentazione, al martirio stesso.
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Fonte: L. Mortari, Vita e detti dei Padri del deserto, Città Nuova, ed. 2012
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