Quattro monaci di Scete si recarono un giorno dal padre Pambone. Erano vestiti di pelli, e ognuno proclamò la virtù del suo compagno: il primo digiunava molto, il secondo non possedeva nulla, il terzo possedeva un grande amore; gli raccontano anche del quarto, che da ventidue anni viveva nell'obbedienza a un anziano. Il padre Pambone rispose loro: «Io vi dico, la virtù di costui è la più grande. Ognuno di voi infatti domina con la sua volontà la virtù che possiede, ma questi, recisa la sua volontà, fa la volontà di un altro. Codesti uomini, se persistono fino alla fine, sono confessori»158
Quattro monaci di Scete si recarono un giorno dal padre Pambone. Erano vestiti di pelli, e ognuno proclamò la virtù del suo compagno: il primo digiunava molto, il secondo non possedeva nulla, il terzo possedeva un grande amore; gli raccontano anche del quarto, che da ventidue anni viveva nell'obbedienza a un anziano. Il padre Pambone rispose loro: «Io vi dico, la virtù di costui è la più grande. Ognuno di voi infatti domina con la sua volontà la virtù che possiede, ma questi, recisa la sua volontà, fa la volontà di un altro. Codesti uomini, se persistono fino alla fine, sono confessori»158
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Note
158 L'obbedienza comporta una lotta così dura che quanti la compiono sono chiamati anche «confessori», «martiri», allo stesso modo di coloro che giungono fino alla testimonianza cruenta (cf. nota 77, pp. 342s.). Ma tutta la vita consacrata a Dio è un martirio: Antonio scendeva ad Alessandria a incoraggiare confessori e martiri, desiderando la loro stessa sorte, ma poi rientrava nella sua solitudine, al «martirio della coscienza» (VA 47, 1, Cremaschi, pp. 169 e par.). Cf. p. 78.