Un fratello si recò dal padre Elia l'esicasta1, nel cenobio della grotta del padre Saba2, e gli chiese: «Padre, dimmi una parola». L'anziano disse al fratello: «Ai tempi dei nostri padri, erano amate queste tre virtù: la povertà, la mitezza, la continenza. Ora invece i monaci sono dominati dall'avidità, dall'ingordigia, dalla sfrontatezza. Scegli quello che vuoi!»3
Un fratello si recò dal padre Elia l'esicasta1, nel cenobio della grotta del padre Saba2, e gli chiese: «Padre, dimmi una parola». L'anziano disse al fratello: «Ai tempi dei nostri padri, erano amate queste tre virtù: la povertà, la mitezza, la continenza. Ora invece i monaci sono dominati dall'avidità, dall'ingordigia, dalla sfrontatezza. Scegli quello che vuoi!»3
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Note
1 Termine più ricco che non semplicemente «solitario»; indica lo scopo primario del ritiro nella solitudine: la ricerca della esichia, cioè dell'unione con Dio, della quiete con Lui, della concentrazione in Lui lontano dalle molte occupazioni e distrazioni. Cf. nota 2, p. 443.
2 «Cenobio della grotta» o Spêlaion, Spelonca, fu chiamato un monastero costruito vicino alla grotta in cui san Saba amava ritirarsi, a 5 km circa di distanza dalla Grande Laura da lui fondata e tuttora esistente in Palestina, nel deserto di Giuda. Il termine laura indica un ampio complesso comprendente la possibilità sia della vita comune che della vita solitaria a diversi livelli, con raduno di tutti il sabato e la domenica per la celebrazione liturgica. Maestro di Saba fu Eutimio (377-473), che fondò varie laure nel deserto di Giuda. Saba, suo discepolo, originario della Cappadocia, fondò nel 473 la Grande Laura, abitata ancor oggi da alcuni monaci ortodossi di lingua greca. San Saba morì nel 532, ricco di grande fama e prestigio. Cirillo di Scitopoli, suo discepolo, ha lasciato alla tradizione, fra le altre, due biografie molto vivaci e interessanti, rispettivamente di Eutimio e Saba. Questi due santi e quasi tutti i loro seguaci rimasero sempre fedeli all'ortodossia calcedonese. Maggiori particolari sulle laure si possono attingere al libro di L. Campagnano, Vita di Caritone, passim.
3 Questo testo evidentemente tardo, perché posteriore a san Saba, è di certo un'aggiunta alla prima raccolta alfabetica; tra i manoscritti studiati dal Guy (p. 72) lo riporta soltanto il ms. D. Esso corrisponde a un capitolo (n. 52) del Prato Spirituale di Giovanni Moschos (così come i detti di Giovanni di Cilicia equivalgono al cap. 115 di Moschos). Questi fu anch'egli monaco del deserto di Giuda, dopo la morte di san Saba. All'inizio del VII secolo fece un grande viaggio per visitare molti monasteri di Palestina e d'Egitto e scrisse un'opera simile a quelle dei secoli precedenti, che già conosciamo (cf. note 101 e 103, pp. 130ss.), divisa in capitoli, sotto il nome dell'uno o dell'altro anziano da lui incontrato e di cui si raccontano in modo un po' miracolistico e leggendario le gesta e la dottrina. L'opera comprende non pochi apoftegmi.
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Fonte: L. Mortari, Vita e detti dei Padri del deserto, Città Nuova, ed. 2012