14. Spiritualità ortodossa, la stessa in Occidente ed in Oriente

Le differenze tra la teologia franco-carolingia e quella romano-or­todossa, hanno una profonda radice. Esse sono chiaramente visi­bili nelle differenze tra il pensiero agostiniano e quello di sant'Ambrogio che è solitamente ritenuto il mae­stro di Agostino.

Gregory of Tours 1

Finora abbiamo semplicemente ricordato che la teologia e la spi­ritualità dei cristiani romani era la stessa sia in Oriente che in Occidente, anche se si scriveva in greco o in latino, per avere una chiara idea di ciò che i termini significano nei dialoghi ecumenici odierni. Agostino, comunque, rimane un'eccezione.

Le differenze tra la teologia franco-carolingia e quella romano-or­todossa, hanno una profonda radice. Esse sono chiaramente visi­bili nelle differenze tra il pensiero agostiniano e quello di sant'Ambrogio che è solitamente ritenuto il mae­stro di Agostino.

Tuttavia, non solo non è evidente che ci fossero intime relazioni tra i due, ma è addirittura chiaro che le loro teologie puntano verso differenti direzioni. Abbiamo già specificato altrove alcuni aspetti di questo argomento.

Volgeremo ora la nostra attenzione a Gregorio di Tours, il quale ci fornisce una chiara testimonianza sulla fioritura spirituale e teologica ortodossa nella Gallia franco-merovingica. In quella stessa epoca non si comprendeva molto bene la nuova classe amministrativa di vescovi aristocratici creati dal governo franco [59].

Gregorio di Tours era un grande ammiratore della spiritualità e della teologia descritta nel presente libro. Nutriva un'alta consi­derazione per san Basilio il Grande e per san Giovanni Cassiano di Marsiglia, già diacono di san Giovanni Crisostomo. Egli rico­nosceva che i due santi erano una guida per i monaci della Gallia. Nei suoi diversi scritti Gregorio di Tours non menziona mai Agostino. Inoltre la sua comprensione della spiritualità e della teologia di san Basilio e di san Giovanni Cassiano è molto limi­tata. Egli incappa in alcuni errori di base e, qualche volta, in umoristici travisamenti.

Gregorio racconta che nel tesoro della chiesa di San Martino trovò le reliquie dei martiri dell'Agaune, membri della legione tebana inviata in Gallia nel 287 per schiacciare una rivolta. Ad un certo punto aggiunge che "... una reliquia [era] molto disfatta dalla putredine" [60]. E' chiaro che Gregorio non sapeva riconoscere le sante reliquie. I corpi in simile corru­zione, per non parlare di "disfacimento dalla putredine", non sono sante reliquie.

Gregorio termina la sua Storia dei franchi con i miracoli e la morte di sant'Aridio abate di Limoges. Egli scrive:

Un giorno mentre i chierici cantavano in chiesa i salmi, dall'alto del soffitto discese una colomba e, volando leggera attorno ad Aridio, si posò sul suo capo, indicando, come intendo, che quello era stato già riempito dalla grazia dello Spirito Santo. Poiché egli, non senza pudore, tentava di allontanare da sé la colomba, l'animale, volando ancora un po' intorno, di nuovo si posava sul suo capo e sulle sue spalle; e non soltanto in chiesa, ma anche quando Aridio si recava nella celletta del vescovo, la colomba lo accompagnava. E il vescovo Nicezio con ammirazione contemplò per molti giorni l'episodio [61].

Aridio ricevette chiaramente e per lungo tempo la divinizza­zione. Comunque l'ignoranza di questa tradizione ha portato Gregorio a confondere e sostituire il simbolo linguistico del co­lombo, usato per descrivere quest'esperienza, con un uccello reale. Gregorio evidenzia che Aridio ha tentato d'allontanare il colombo. Ciò depone che la visione sperimentata dal santo non era certamente demoniaca o allucinatoria. Il fatto che il colombo fosse tornato per rimanere sul santo per dei giorni consecutivi, significa che egli, da uno stato di breve divinizzazione, tornava nella medesima condizione ma per un periodo più lungo. Che egli si fosse occupato dei suoi usuali impegni in questo stato, che tale stato fosse percepito a coloro che lo circondavano, che essi stessi fossero in uno stato di illuminazione, depone evidentemente an­cora in favore della sua particolare esperienza.

I malintesi di Gregorio si incontrano anche quando egli narra la vita di Patroclo il recluso. Gregorio scrive:

Il suo nutrimento era il pane bagnato nell'acqua e asperso di sale. I suoi occhi non si oscuravano mai. Era infatti costante nelle preghiere, e se talvolta le interrompeva, si metteva a leggere o a scrivere [62].

Gregorio crede che pregare incessantemente sia possibile solo rimanendo, in qualche modo, incessantemente svegli. Eppure Pa­troclo trascorreva il tempo anche leggendo e scrivendo. Questo significa, per Gregorio, che egli ha dovuto interrompere la pre­ghiera per compiere tali azioni. Gregorio era inconsapevole che la preghiera incessante continua ininterrottamente, nel sonno, nella veglia, nella lettura, nella scrittura, nel camminare, nel parlare, nella fatica, ecc.

Insomma, il fatto che gli occhi di Patroclo, per Gregorio, "non si sono mai chiusi al sonno", sarebbe stato un inaudito miracolo. Quando Patroclo viveva nella divinizzazione poteva contemporaneamente dormire e nutrirsi [63]. Tuttavia, in questa vita, una simile condi­zione non può prolungarsi indefinitamente. In tale stato egli interrompeva la preghiera. Quando non viveva quest'esperienza egli dormiva tre ore al giorno e pregava senza alcuna interruzione. In quel tempo, però, simili malintesi venivano normalmente riportati: c'erano molti vescovi in Francia la cui comprensione era inferiore a quella di Gregorio.

Un esempio in tal senso ci è fornito da alcuni vescovi che ordi­narono ad un asceta lombardo, chiamato Vulfilaico, di scendere dalla sua colonna. Per essi l'asceta non aveva diritto di fare ciò che egli desiderava.

La via che tu segui non è giusta, e tu, che sei d'origine oscura, non puoi confrontarti con Simeone di Antiochia che vive su una colonna. D'altra parte il clima del luogo non ti permette di sostenere ancora questa prova [64].

Evidentemente la vita di san Daniele lo stilita di Costantinopoli era ancora sconosciuta in Francia.

Finché si rimane nella situazione spirituale sopra descritta, si raggiungono tali risorse fisiche che permettono di resistere alle situazioni ambientali più difficili. La preghiera noetica non ha nulla a che vedere con il tormento fisico o col tentativo di rappacificare Dio.

Essa ci dà pure la possibilità di comprendere con quale potere spiri­tuale i cristiani ortodossi hanno perseverato nel marti­rio. Si capisce pure perché coloro che rinunciarono a Cristo nelle torture furono considerati fuori dallo stato di grazia e d'illumi­nazione cioè fuori dai frutti della stessa preghiera noetica.

Gregorio ci presenta Vulfilaico per sottolineare qualcosa che gli sta a cuore e che chiarisce nella seguente affermazione:

Alle parole di quelli, poiché non prestare attenzione alla richiesta d'un vescovo è considerata una colpa, scendevo, io dico, e andavo con loro ed insieme prendevamo il cibo. Un giorno, poi, mentre un vescovo mi aveva convocato in una località molto lontana, furono inviati alcuni operai con leve, martelli e asce e abbatterono la colonna sulla quale ero solito stare... Allora piansi di cuore, ma non volli erigere quello che avevano abbattuto, perché non fossi accusato d'oppormi alla volontà dei vescovi [65].

Abbiamo qui esposta un'emblematica distorsione del significato di obbedienza. E' chiaro che né Gregorio né alcuno dei suoi con­fratelli sapevano quello che Vulfilaico fece. Comunque, ciò che sottolineavano era l'importanza dell'obbedienza dei fedeli per conservare nella maniera più efficace la legge e l'ordine del loro pa­drone: il governo franco che li aveva nominati. Perciò la disob­bedienza ad un vescovo era divenuta un peccato particolarmente grave.

I vescovi, come ufficiali della legge, riuscirono ad accentuare la distinzione pagana tra cielo ed inferno, distinzione rinvenibile in Agostino e Gregorio di Tours. Entrambi erano in­consapevoli che il clero è stato istituito per preparare le persone alla visione di Dio, una visione che ognuno avrà o come beatitudine o come fuoco divorante. A quest'inconsapevolezza si aggiunse la mutazione della prassi con la quale si soddisfava il parti­colare bisogno umano di progredire in vista di Dio. Per Gregorio, allora, Dio deve essere soddisfatto con l'ob­bedienza al clero e con la partecipazione ai sacramenti. Queste sono le condizioni perché l'uomo possa entrare in paradiso.

La posizione di Agostino era molto più originale visto che, per lui, Dio ha già deciso in anticipo chi salvare e chi dannare. Per la nota colpa ereditata da Adamo ed Eva, tutto è degno dell'inferno. Così coloro che sono stati scelti per il cielo non hanno alcun merito personale in grado di garantire la scelta divina che rimane, perciò, incondizionata e libera. Tali idee agostiniane sarebbero piuttosto umoristiche se non fossero state condivise da milioni di europei e americani che vi aderirono come molti ancora fanno.

 

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Note
[59] Escludiamo san Giovanni Cassiano e la sua incontestata identificazione con la spiritualità e la teologia orientale, in quanto pre-franco.
[60] Gregory of Tours, The history of the franks trad. Lewis Thorpe, London 1977, X, 31, p. 601.
[61] Ibid., X, 29, p. 589.
[62] Ibid., V, 10, p. 265.
[63] (Le normali attività del corpo nello stato di divinizzazione sono sospese ma non impedite. Questo scioglie l'apparente contraddizione dell'Autore tra il presente passo e quello riportato alla fine di p. 67. N.d.c.)
[64] Ibid., VIII, 15, p. 447.
[65] Ibid.

 

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