Nel Grande e Santo Venerdì Cristo è morto sulla croce. Ha dato il suo spirito con le parole: "Tutto è terminato" (Giovanni 19: 30). Queste parole sono meglio comprese se tradotte: "Tutto è compiuto". Aveva completato l'opera per cui il suo celeste Padre l'aveva mandato nel mondo. È diventato un uomo nel senso più pieno della parola. Egli accettò il battesimo di penitenza da Giovanni nel fiume Giordano. Ha assunto la condizione umana, vivendo tutto il suo isolamento, la sua angoscia e sofferenza, concludendo con l'umile morte sulla croce. Ha perfettamente adempiuto la profezia di Isaia:
"Perciò io gli darò una parte fra i grandi, ed egli farà bottino con i potenti, perché ha effuso la sua anima fino a morire, ed è stato annoverato fra gli empi, mentre portava i peccati di molti, e ha fatta intercessione per i trasgressori" (Isaia 53: 12).
L'Uomo dei dolori
Sulla Croce Gesù diventa così "l'uomo dei dolori, che conosce il patire" che il profeta Isaia aveva predetto. Era "disprezzato e abbandonato dagli uomini" e "percosso da Dio e umiliato" (Isaia 53:3-4). È diventato quello con "nessuna apparenza né bellezza da volgersi a guardare a lui, né splendore da farcelo desiderare" (Isaia 53: 2). Il suo aspetto era "sfigurato più di quello di alcun uomo, e il suo volto era diverso da quello dei figli dell'uomo" (Isaia 52: 14). Tutte queste profezie messianiche sono state adempiute in Gesù mentre lui pendeva dalla Croce.
Quando si avvicinò la fine, gridò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Matteo 27: 46). Questo grido ha indicato la sua completa identificazione con la condizione umana. Aveva abbracciato totalmente la condizione di disprezzato, abbandonato e colpito dalla sofferenza e dalla morte – l'isolamento da Dio. Era davvero l'uomo dei dolori.
Tuttavia, è importante notare che il grido di angoscia di Gesù dalla Croce non era un segno della sua perdita di fede nel Padre. Le parole che egli gridò sono il primo versetto del Salmo 22, un salmo messianico. Nella prima parte del Salmo si preannuncia l'angoscia, la sofferenza e la morte del Messia. La seconda parte è un canto di lode a Dio. Si prevede la vittoria finale del Messia.
Le accuse formali
La morte di Cristo era stata richiesta dai capi religiosi di Gerusalemme fin dai primi giorni del suo ministero pubblico. Le accuse formali contro di lui di solito rientrano nelle due seguenti categorie:
1) violazione della legge del Vecchio Testamento, per esempio, rompendo il riposo sabbatico;
2) bestemmia: facendosi uguale a Dio.
Le questioni sono state accelerate (compiute) dal momento della verità che ha seguito il suo ingresso in Gerusalemme la Domenica delle Palme. Aveva la gente dietro di lui. Ha parlato chiaramente. Ha detto che il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato. Ha castigato gli scribi e i farisei perché avevano ridotto la religione a un affare puramente esteriore;
"Voi siete come sepolcri imbiancati, che esteriormente appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa d'uomini morti e di ogni impurità. Così anche voi all'esterno apparite giusti davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità" (Matteo 23: 27-28 ).
Era la seconda accusa formale che, tuttavia, divenne il fondamento per la sua condanna.
Il processo religioso
La condanna di Cristo e la sentenza di morte richiedevano due processi: religioso e politico. Il processo religioso è stato il primo ed ha avuto luogo durante la notte subito dopo il suo arresto. Dopo considerevoli difficoltà nel trovare testimoni per l'accusa che effettivamente hanno convenuto nella loro testimonianza, Caifa, il sommo sacerdote, fece a Gesù la domanda essenziale: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?". Gesù, che era rimasto in silenzio fino a questo momento, ora ha risposto direttamente:
"Io sono, e vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo" (Marco 14: 61-62).
La risposta di Gesù ricordava le molte altre dichiarazioni che aveva fatto cominciando con le parole: "Io sono". "Io sono il pane della vita... Io sono la luce del mondo... Io sono la via, la verità e la vita... Prima che Abramo fosse, Io sono". (Giovanni 6 a 15). L'uso di queste parole è stato ritenuto blasfemo dai capi religiosi. Quelle parole erano il Nome di Dio. Usandole come suo proprio nome, Gesù si è identificato in modo concreto con Dio. Dal roveto ardente la voce di Dio aveva svelato queste parole a Mosè come il Nome Divino: "Dite al popolo di Israele, 'IO SONO mi ha mandato a voi'" (Esodo 3: 13-14).
Ora Gesù, come aveva fatto in molte altre occasioni, le usa come proprio nome. Il sommo sacerdote subito strappò le sue vesti e "tutti sentenziarono che era reo di morte" (Marco 14: 64). A loro avviso aveva violato la legge del Vecchio Testamento:
"Chi bestemmia il nome del Signore sarà messo a morte" (Levitico 24: 16).
Il processo politico
I capi religiosi ebrei non avevano reale autorità di eseguire la suddetta legge: mettere a morte un uomo. Tale autorità apparteneva all'amministrazione civile romana. Gesù aveva mantenuto con cura la sua attività libera da implicazioni politiche. Ha rifiutato la tentazione di Satana a governare i regni del mondo con la spada (Luca 4: 1-12). Spesso ha ordinato ai suoi discepoli e agli altri di non dire ad alcuno che egli era il Cristo, a causa delle implicazioni politiche che per molti portava questo titolo (Matteo 16: 13-20). Egli rimproverò Pietro, chiamandolo Satana, quando il discepolo accennò a un suo sviamento dalla vera natura della sua missione (Matteo 16: 23). A Pilato, lo smidollato e indifferente Governatore Romano, disse chiaramente: "Il mio regno non è di questo mondo" (Giovanni 18: 36). Gesù non era un rivoluzionario politico che è venuto a liberare il popolo dal controllo romano e a stabilire un nuovo regno basato sul potere mondano.
Tuttavia, i capi religiosi, di concerto con le masse, hanno inventato accuse politiche contro di lui per raggiungere i loro obiettivi. Hanno presentato Cristo ai Romani come un politico, un leader, il "re dei Giudei" in senso mondano, una minaccia per il dominio Romano e una sfida a Cesare. Pilato diventa timoroso della propria posizione, come udì le accuse e vide la folla in fermento. Pertanto, nonostante la sua dichiarata testimonianza di innocenza di Gesù, approvò la formale sentenza, "si lavò le mani" della questione, e diresse Gesù alla crocifissione (Giovanni 19: 16).
Crocifissione – Il trionfo del male
Prima di soccombere a questo crudele metodo romano di giustiziare i criminali politici, Gesù ha sofferto ancora altre ingiustizie. Egli è stato spogliato, deriso e picchiato. Indossava un "regale corona di spine sulla testa. Ha trasportato la propria croce. E infine è stato inchiodato sulla croce tra due ladri in un luogo chiamato Golgota (il luogo del cranio) al di fuori di Gerusalemme. Un'iscrizione venne posta sopra la sua testa sulla croce per indicare la natura del suo crimine: "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei". Egli spirò verso l'ora nona (3 pm), dopo esser stato appeso sulla croce per circa sei ore.
Nel Santo Venerdì il male ha trionfato. "Ed era notte" (Giovanni 13: 30) quando Giuda si è allontanato dall'Ultima Cena per completare il suo tradimento, e "si fece buio su tutta la terra" (Matteo 27: 45), quando Gesù era appeso sulla croce. Le forze del male di questo mondo erano state radunate contro Cristo. Prove ingiuste lo hanno condannato. Un criminale è stato rilasciato alla gente, invece di lui. Chiodi e una lancia hanno trapassato il suo corpo. Aceto amaro gli è stato dato per saziare la sua sete. Solo un discepolo gli è rimasto fedele. Infine, la tomba di un altro uomo diventa il suo luogo di riposo dopo la morte.
L'innocente Gesù fu messo a morte sulla base di entrambe le accuse religiose e politiche. Sia gli Ebrei che i Romani Gentili parteciparono alla sua condanna a morte.
"I capi del popolo si sono riuniti contro il Signore e contro il suo Cristo" (Salmo 2 – il Prokeimenon del Giovedi Santo alla Liturgia Vesperale).
Noi, pure, attraverso molte vie continuiamo a partecipare alla condanna a morte di Cristo. Gli oneri formali di cui sopra non esauriscono le ragioni della crocifissione. Dietro le accuse formali poste sono portate una serie di ingiustizie, dalle motivazioni nascoste e personali. Gesù ha detto apertamente la verità su Dio e sull'uomo. Ha esposto in tal modo il carattere falso della rettitudine e della sicurezza compiaciuta, sia religiosa che materiale, sostenuta da molti in particolare quelli in alto. Il continuo verificarsi di tali compiacimenti ai nostri giorni ci insegna la vera natura illusoria di molta cosiddetta rettitudine e sicurezza. Nel senso più profondo, la morte di Cristo è stata provocata dall'incallito peccato personale – il rifiuto delle persone a cambiare se stessi, alla luce della realtà, che è Cristo.
"Venne ai suoi propri possessi, e i suoi non l'hanno ricevuto" (Giovanni 1: 11).
Soprattutto noi, il popolo cristiano, siamo il proprio possesso di Cristo. Egli continua a venire da noi nella sua Chiesa. Ogni volta che tentiamo di trasformare la Chiesa in qualcosa di diverso dalla venuta eterna di Cristo in mezzo a noi, ogni volta che ci rifiutiamo di pentirci per i nostri torti, anche noi, rifiutiamo Cristo e partecipiamo alla sua condanna a morte.
Il Vespro
I Vespri, celebrati nella Chiesa al pomeriggio del Santo Venerdì, richiamano alla mente tutti gli eventi finali della vita di Cristo, come sopra indicato: il processo, la condanna, la flagellazione e la derisione, la crocifissione, la morte, la deposizione del suo corpo dalla croce, e la sepoltura. Come indica l'innografia, questi eventi rimangono sempre presenti nella Chiesa, essi costituiscono l'oggi della sua vita.
L'ufficiatura è piena di letture della Sacra Scrittura: tre dall'Antico Testamento e due dal Nuovo. La prima delle letture dell'Antico Testamento, dall'Esodo, parla di Mosè che vede la "schiena" della gloria di Dio – perché nessun uomo non può vedere la gloria di Dio faccia a faccia e vivere. La Chiesa utilizza questa lettura per sottolineare che ora, nella crocifissione e morte di Cristo, Dio sta facendo la condiscendenza finale di rivelare la sua gloria all'uomo – dal di dentro dell'uomo stesso.
La morte di Cristo era di carattere del tutto volontario. Egli non muore a causa di alcune necessità nel suo essere: il Figlio di Dio ha la vita in sé stesso! Eppure, Egli volontariamente ha dato la sua vita come il più grande segno dell'amore di Dio per l'uomo, come la rivelazione finale della gloria divina:
"Nessuno ha un amore più grande di questo, che uno dia la vita per i propri amici" (Giovanni 15: 13).
L'innografia Vesperale sviluppa ulteriormente il fatto che Dio ci rivela la sua gloria in questo amore condiscendente. La Crocifissione è il cuore di tale amore, perché chi viene crocifisso non è altro che Lui per mezzo del quale tutte le cose sono state create:
Oggi il Padrone della creazione sta davanti a Pilato. Oggi il Creatore di tutto è condannato a morire sulla croce... Il Redentore del mondo è schiaffeggiato sul viso. Il Creatore di tutti è deriso dai suoi stessi servitori. Gloria alla tua condiscendenza, o Amico dell'uomo! (Verso al "Signore, a te ho gridato" e l'Apostikha)
I versi sottolineano inoltre le dimensioni cosmiche dell'evento che avviene sulla Croce. Come Dio che si è rivelato a Mosè non è un dio, ma il Dio del "cielo e della terra, e di tutte le cose visibili e invisibili", così la morte di Gesù non è il culmine di una meschina lotta nella vita nazionale della Palestina. Piuttosto, è il centro stesso dell'epica lotta tra Dio e il maligno, che coinvolge l'intero universo:
Tutta la creazione è stata sconvolta dalla paura quando ti vide appeso alla croce, O Cristo! Il sole si oscurò, e le fondamenta della terra furono scosse. Tutte le cose hanno sofferto con il Creatore di tutti. O Signore, che hai volontariamente sopportato questo per noi, gloria a Te! (Verso I al "Signore, a te ho gridato").
La seconda lettura del Vecchio Testamento (Giobbe 42: 12 fino alla fine) manifesta Giobbe come una figura profetica dello stesso Messia. La condizione difficile di Giobbe è seguita nei servizi in tutta la Santa Settimana, e si conclude con questa lettura. Giobbe è il servo giusto che rimane fedele a Dio, nonostante la prova, l'umiliazione e la perdita di tutti i suoi beni e della sua famiglia. A causa della sua fedeltà, tuttavia, "Il Signore ha benedetto gli ultimi giorni di Giobbe più del suo principio" (Giobbe 42: 12).
La terza delle letture Veterotestamentarie è di gran lunga la più consistente (Isaia 52: 13 a 54: 1). Si tratta di un prototipo dell'Evangelo stesso. Letto in questo momento, identifica concretamente Gesù di Nazareth come il Servo di Dio, l'Uomo dei dolori, il Messia di Israele.
La Lettura dell'Epistola (I Corinzi 1: 18 a 2: 2) parla di Gesù crocifisso, follia per il mondo, come il vero centro della nostra Fede. La lettura dell'Evangelo, un lungo composito tratto da Matteo, Luca e Giovanni, racconta semplicemente tutti gli eventi associati con la crocifissione e sepoltura di Cristo.
Tutte le letture, ovviamente, mettono a fuoco il tema della speranza. Come il Signore della Gloria, il compimento del giusto Giobbe, e lo stesso Messia, l'umiliazione e la morte non avranno finale sopravvento su Gesù. Anche il lutto della genitrice Maria si trasforma, alla luce di questa speranza:
Quando Colei che ti ha generato senza seme ti vide sospeso sopra l'albero, O Cristo, Creatore e Dio di tutti, gridò con amarezza: "Dov'è la bellezza del tuo volto, figlio mio? Non posso sopportare di vederti ingiustamente crocifisso. Affrettati e sorgi, che anch'io possa vedere la tua risurrezione dai morti il terzo giorno! (Versetto IV al "Signore, a te ho gridato").
Verso la fine dei Vespri, il sacerdote veste completamente in paramenti scuri. Al momento stabilito eleva la Sacra Sindone, una grande icona raffigurante Cristo che giace nel sepolcro, dalla tavola dell'altare. Insieme a laici scelti e chierici, si forma una processione e la Santa Sindone è portata ad una tomba appositamente preparata al centro della chiesa. Mentre il corteo si muove, si canta il tropario:
Il nobile Giuseppe, quando ebbe cala giù il tuo corpo immacolato dall'albero, lo avvolse in un lino puro ungendolo con aromi, e lo mise in un sepolcro nuovo.
In questo ultimo momento solenne dei Vespri, il tema della speranza, ancora una volta è sopraggiunto – questa volta più forte e chiaro che mai. Mentre le ginocchia sono piegate e le teste sono inclinate, e spesso le lacrime sono lasciate cadere, viene cantato un altro tropario che penetra attraverso questo trionfo del male, al nuovo giorno che è contenuto al suo stesso interno:
L'Angelo giunse alle donne che portavano mirra alla tomba e disse: "La mirra si addice ai morti, ma Cristo si è dimostrato straniero alla corruzione.
Una nuova Era sta nascendo. La nostra salvezza sta avvenendo. Colui che è morto è il medesimo che risorgerà il terzo giorno, a calpestare "la morte con la morte", e per liberarci dalla corruzione.
Pertanto, a conclusione dei Vespri del Santo Venerdì, alla fine di questa lunga giornata di buio, quando tutte le cose sono apparentemente finite, la nostra eterna speranza per la salvezza balza avanti. Perché Cristo è davvero straniero alla corruzione:
"Come da un uomo venne la morte, da un uomo è venuta anche la risurrezione dei morti. Perché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo tutti riceveranno la vita. Ciascuno però nel suo ordine: Cristo la primizia, poi alla sua venuta, quelli che sono di Cristo" (I Cor. 15: 21-32).
"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia e dell'evangelo, la salverà" (Marco 8: 35).
Tratto da "oca.org/FSlives.asp"