11. Strumenti, osservazione, concetti e lingua

Similmente alle scienze odierne, anche la teologia ortodossa di­pende da uno strumento che non è identificato con la ragione o l'intelletto. Il suo nome biblico è "cuore". Nel Vangelo, Cristo dice: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

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La scienza moderna è nata sottoponendo le teorie immaginate e proposte dall'intelletto al collaudo con le molteplici tecniche che si avvalgono di strumentazioni. L'osservazione che si è servita di questi strumenti artificiali ha aperto vaste aree di conoscenza che l'intelletto da solo non avrebbe assolutamente potuto cominciare ad immaginare e, tanto meno, uguagliare.

L'universo è diventato un mistero così grande che nessuno avrebbe potuto prevederlo. Abbiamo forti indicazioni che que­sto mistero crescerà ulteriormente. L'uomo d'oggi come quello di ieri non è in grado di immaginare la vastità di tale mistero. Alla luce di quanto appena esposto, risulta umoristico pensare a quei vescovi che non potendo afferrare la realtà ci hanno lasciato solo l'importanza di quello che hanno visto nel telescopio di Ga­lileo. Ma la dimensione della ingenuità franca è ben maggiore quando si comprende che questi stessi capi della Chiesa, i quali non potevano capire il significato d'una semplice osservazione, chiedevano la conoscenza dell'essenza e della natura di Dio.

La tradizione latina non poteva capire il significato d'uno stru­mento con il quale i profeti, gli apostoli e i santi avevano rag­giunto la divinizzazione.

Similmente alle scienze odierne, anche la teologia ortodossa di­pende da uno strumento che non è identificato con la ragione o l'intelletto. Il suo nome biblico è "cuore". Nel Vangelo, Cristo dice: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" [53].

Il cuore normalmente non è pulito. E' questa la ragione per cui non funziona regolarmente come dovrebbe. Similmente alla lente d'un telescopio o d'un microscopio, il cuore deve essere de­terso affinché la luce vi possa passare attraverso permettendo al­l'uomo di focalizzare la propria visione spirituale su cose non vi­sibili ad occhio nudo.

Alcuni Padri hanno nominato nous la facoltà dell'anima che opera all'interno del cuore quando è ripristinata la sua nor­male capacità e hanno nominato logos e dianoia l'intelletto e la ragione cioè quello che oggi chiamiamo "cervello". Per evitare ogni possibile confusione usiamo i termini facoltà noetica e preghiera noetica per designare l'attività del nous nel cosiddetto cuore.

Il cuore, non il cervello, è l'area nella quale viene formato il teo­logo. La teologia include l'intelletto come fanno tutte le scienze ma è nel cuore che l'intelletto e l'intero uomo osservano e sperimentano la grazia di Dio.

Una delle differenze di base tra la teologia ortodossa e la scienza è che, per la prima, l'uomo possiede naturalmente il proprio cuore, o facoltà noetica, mentre, per la seconda, ha dovuto creare appositi strumenti per l'osservazione scientifica.

Una seconda differenza di base è la seguente: attraverso i propri strumenti e l'energia irradiata da quanto osservato, lo scienziato vede cose che può descrivere con parole, sebbene si esprima sempre inadeguatamente. Queste parole sono simboli che esprimono una notevole esperienza umana.

Diversamente da ciò, l'esperienza della divinizzazione consiste nel vedere Dio, il quale non ha alcuna somiglianza con qualsiasi cosa creata non uguagliando nemmeno l'intelletto e gli angeli. Dio è letteralmente unico e non può essere in nessun modo de­scritto paragonandolo con qualche attributo che possa essere proprio, conosciuto o immaginato da qualche creatura. Nessun aspetto di Dio può essere espresso in un concetto o in una rac­colta di concetti.

Si può immediatamente capire perché tanto la teoria delle idee di Pla­tone quanto la forma agostiniana (per la quale le creature sono let­teralmente "copie" di prototipi-archetipi reali presenti nella mente divina), sono state coerentemente rigettate dai Padri della Chiesa.

Così l'esperienza di divinizzazione non ha alcunché in comune con la speculazione agostiniana di Dio che utilizza analogie psi­cologiche e nemmeno con la teoria di alcuni teologi russi in base alla quale i Padri della Chiesa, com'essi ritengono, parlano di Dio utilizzando una specie di "personalismo". Nessun termine o concetto viene applicato a Dio dai Padri. La ragione è chiara. Tutti i Padri, utilizzando determinate espressioni, vogliono rimarcare che non c'è asso­lutamente alcuna somiglianza tra Dio e le Sue creature. Ciò significa che i nomi di Dio e il linguaggio utilizzato per parlare di Lui non vengono sentiti come mezzi con i quali l'intelletto umano può formare dei concetti che gli rivelano l'essenza di­vina. Piuttosto, il linguaggio adoperato per descrivere Dio ha un unico fine: essere la guida per un padre spirituale che conduce il proprio allievo attraverso vari livelli di perfezione e conoscenza fino alla divinizzazione. In essa l'allievo vede da solo quello che i santi hanno visto prima di lui: la radicale diversità di Dio da qualsiasi concetto utilizzato per esprimerLo.

E' per questa ragione che le asserzioni positive su Dio sono con­trobilanciate da asserzioni negative, non per purificare le prime dalle loro imperfezioni, ma per chiarire che Dio non è in nessun modo simile ai concetti veicolati dalle parole, poiché è al di sopra d'ogni nome e d'ogni concetto attribuitoGli.

Contro l'eresia di Eunomio i Padri hanno insistito che la lingua è uno sviluppo umano e non è stata creata da Dio. Traendo ar­gomentazioni dallo stesso Antico Testamento, san Gregorio di Nissa rivendicò che l'ebraico è una delle lingue più recenti del Medio-Oriente. Tale posizione oggi non è ritenuta corretta. L'af­fermazione di san Gregorio è stata comparata con l'opinione di Dante secondo la quale Dio ha creato l'ebraico per far parlare Adamo ed Eva. Poi, Dio avrebbe fatto in modo di conservare tale parlata perché Cristo la potesse utilizzare. Naturalmente Cristo non ha parlato l'ebraico, ma l'aramaico.

L'opinione del nisseno sulla lingua biblica è sempre stata domi­nante tra gli scrittori romano-orientali. Finora ho trovato teorie simili a quelle di Dante solamente fra gli eunomiani e i nesto­riani. Dato tali presupposti si può capire l'insistenza dei Padri sul fatto che lo studio dell'universo o l'impegno nella speculazione filosofica non aggiungono nulla alla guida verso la perfezione e la divinizzazione.

Le dottrine sulla santa Trinità e sull'incarnazione quando escono dal loro contesto empirico o rivelatorio divengono e sono dive­nute ridicole. Ciò è anche vero per la distinzione tra essenza ed energia increata di Dio. Conosciamo questa distinzione dal tempo dei profeti attraverso i racconti dell'esperienza delle loro divinizzazioni. A tal riguardo san Gregorio Palamas non ha in­ventato nulla. I moderni teologi ebrei continuano a vedere chia­ramente la stessa cosa nell'Antico Testamento.

Dio ha creato l'universo che continua a dipendere da Lui. Ep­pure Dio e l'universo non appartengono ad una categoria della verità: la verità riguardo alla creazione non può essere applicata a Dio e la verità di Dio non può essere applicata a quella della creazione.

 

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Note
[53] Mt. V, 8.

 

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