5. Concilio di Costantinopoli II (553 d.C.)

Dal 5 maggio al 2 giugno del 553. Il Concilio si riunì nella Basilica di Santa Sofia, la cattedrale di Costantinopoli. Convocato dall'imperatore Giustiniano I e presieduto da Eutichio di Costantinopoli. Partecipanti 160, di cui 8 dall'Africa. 8 sessioni. Argomenti: monofisismo e nestorianesimo, condanna di Origene.

Eutychius of Constantinople 1

Sentenza contro "I tre Capitoli" dei Nestoriani.

Il grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, secondo la parabola riferita dai Vangeli (1), distribuisce i talenti secondo le capacità di ciascuno, ed esige a suo tempo da essi il frutto proporzionato. Se, quindi, chi ha ricevuto un talento e l'ha conservato senza alcuna perdita, per non averlo trafficato e per non aver aumentato quanto aveva ricevuto viene condannato, come non sarà soggetto a più grave e terribile giudizio chi non solo l'avrà trascurato, ma sarà stato causa di scandalo anche per gli altri? E' chiaro, infatti, a tutti i fedeli che quando si tratta della fede, non solo l'empio è condannato, ma anche colui, che, potendo impedire l'empietà, trascura la correzione degli altri.

E' per questo che noi, a cui è stato affidato il compito di governare la chiesa di Dio (2) temendo la maledizione minacciata a coloro che fanno con negligenza le cose di Dio (3), facciamo di tutto per conservare puro il buon seme della fede dalla zizzania dell'empietà, che viene seminata dal nemico (4). Vedendo, dunque, che i seguaci di Nestorio hanno tentato di gettare sulla chiesa di Dio la loro empietà per mezzo dell'empio Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia, ed i suoi empi scritti, ed inoltre per mezzo di ciò che empiamente scrisse Teodoreto, e della infame lettera, che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, siamo sorti prontamente per correggere quanto è accaduto, e per volontà di Dio e per comando del nostro piissimo imperatore, ci siamo riuniti in questa città imperiale.

E poiché il piissimo Vigilio è presente in questa imperiale città, si sta occupando di tutto ciò che è stato scritto su questi tre capitoli, e li ha spesso condannati sia a voce che per iscritto; e poiché in seguito ha anche acconsentito a partecipare al concilio e a discutere su di essi insieme con noi, il piissimo imperatore - come si era convenuto - ha esortato sia lui che noi a radunarci insieme, dicendo che era conveniente che i sacerdoti portassero insieme a conclusione le questioni comuni. Fummo quindi costretti a chiedere che la sua riverenza volesse adempiere le sue promesse scritte, non sembrando giusto che dovesse lo scandalo dei tre capitoli crescere sempre più, con turbamento della chiesa. A favore di ciò gli ricordammo i grandi esempi degli apostoli, e le tradizioni dei padri. Quantunque, infatti, la grazia dello Spirito santo abbondasse in ognuno degli apostoli, e non avessero bisogno del consiglio degli altri per sapere ciò che dovessero fare, tuttavia sulla questione che allora si agitava, cioè se i pagani dovessero essere circoncisi, non vollero pronunciarsi prima di essersi riuniti in comune e aver confermato con le testimonianze delle divine Scritture ciascuno la propria opinione. Pertanto emisero su ciò una sentenza comune, scrivendo alle genti: E' sembrato bene allo Spirito Santo e a noi non imporvi altro Peso che quello che è necessario, e cioè: che vi asteniate dalle carni immolate dinanzi ai simulacri (degli dèi), dal sangue, dagli animali soffocati, e dalla fornicazione (5).

Anche i santi padri, lungo i secoli, si radunarono nei quattro santi concili, e, seguendo gli esempi degli antichi, presero insieme le decisioni relative alle eresie che erano sorte e ad altre questioni, avendo per certo, che nelle discussioni comuni, quando cioè si affrontano problemi che interessano l'una e l'altra parte, la luce della verità fuga le tenebre della menzogna.

Nelle comuni dispute sulla fede, infatti, non è possibile che la verità si manifesti in modo diverso; perché ciascuno ha bisogno del suo prossimo, come afferma Salomone nei suoi Proverbi: Il fratello che aiuta il fratello, sarà esaltato come una città fortificata, ed è saldo come un regno dalle solide fondamenta (6). Dice ancora nell'Ecclesiaste: Due sono assai meglio che uno,- ed avranno abbondante compenso per il loro lavoro (7).

Del resto, il Signore stesso dice: In verità, in verità, vi dico: se due di voi si raccoglieranno, sulla terra, qualsiasi cosa chiederanno, verrà loro concessa dal Padre mio che sta nei cieli. Dovunque, infatti, due o tre saranno radunati in mio nome, sarò con loro, in mezzo ad essi (8).

Da noi tutti spesso invitato, mandati a lui dal nostro piissimo imperatore dei messi nobilissimi, Vigilio promise di esprimere personalmente il suo parere sulla questione dei tre capitoli. A questa risposta noi, memori, in cuor nostro, dell'ammonimento dell'Apostolo che ciascuno renderà ragione a Dio di se stesso (9), e temendo, nello stesso tempo, anche il giudizio che sovrasta coloro che scandalizzano anche uno solo dei più piccoli (10) - e quanto più, dunque, un imperatore così profondamente cristiano e popoli e chiese intere - memori anche di quanto fu detto da Dio a Paolo: Non temere; parla e non tacere, Perché io sono con te, e nessuno potrà nuocerti (11), noi, radunati insieme, prima di tutto ci siamo proposti di attenerci a quella fede che il signore nostro Gesù Cristo, vero Dio, ha trasmesso ai suoi santi apostoli, e, per mezzo di loro, alle sante chiese, e che i santi padri e dottori della chiesa, che vennero dopo di essi, trasmisero a loro volta ai popoli loro affidati.

Abbiamo dichiarato di conservare intatta e di predicare alle sante chiese questa fede che hanno esposto più abbondantemente i 318 santi padri raccolti a Nicea, i quali ci hanno trasmesso il santo simbolo. Anche 150 radunati a Costantinopoli lo professarono e seguirono anch'essi la stessa fede e la chiarirono. Professiamo quella fede in cui convennero perfettamente i 200 santi padri raccolti la prima volta ad Efeso; e ciò che fu definito dai 630 a Calcedonia, intorno all'unica e medesima fede, che essi seguirono e predicarono. Abbiamo dichiarato, inoltre, di considerare condannati e anatematizzati quelli che, secondo le circostanze, sono stati condannati e anatematizzati dalla chiesa cattolica e dai quattro concilii ricordati.

Fatta questa generale professione di fede, abbiamo iniziato l'esame dei tre capitoli [ ... ].

Richiamate, dunque, le cose da noi fatte, dichiariamo ancora che accettiamo i quattro santi concili: Niceno, Costantinopolitano, Efesino primo, Calcedonese e che quello che essi definirono della stessa e medesima fede, noi abbiamo predicato e predichiamo. Giudichiamo estranei alla chiesa cattolica quelli che non accettano queste cose. Condanniamo e scomunichiamo, con tutti gli altri eretici che sono stati condannati e scomunicati dai predetti quattro concili e dalla santa e apostolica chiesa, Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia e i suoi empi scritti; condanniamo e scomunichiamo quello che Teodoreto ha scritto ampiamente contro la retta fede, contro i dodici capitoli di s. Cirillo contro il primo concilio di Efeso, e quanto ha scritto a difesa di Teodoro e di Nestorio. Anatematizziamo, inoltre, l'empia lettera che si dice Iba abbia scritto a Mari, persiano: essa nega che Dio Verbo, incarnatosi dalla S. Madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo; essa accusa di eresia Cirillo, di santa memoria, che invece insegna rettamente, anche quando scrive ad Apollinare. Questa lettera mentre accusa il primo concilio Efesino di aver deposto Nestorio senza sufficiente esame e discussione e chiama empi e contrari alla sacra fede i dodici capitoli di Cirillo, difende poi Teodoro e Nestorio e i loro dogmi scellerati e i loro scritti.

Noi, dunque, anatematizziamo i tre predetti capitoli, cioè: l'empio Teodoro di Mopsuestia con i suoi scritti malvagi, quello che scrisse empiamente Teodoreto, l'iniqua lettera attribuita ad Iba, i loro difensori e quelli che scrissero o scrivono a loro difesa, o si peritano di definire rette le loro dottrine, o hanno preso o prendono addirittura le difese della loro empietà, adducendo l'autorità dei padri o del santo concilio di Calcedonia [ ... ].

 

________________

Note
[1] Cfr. Mt 25, 14-30
[2] Cfr. At 20, 28
[3] Cfr. Ger 48, 10
[4] Cfr. Mt 13, 36-43
[5] At 15, 28-29
[6] Pro 18, 19
[7] Eccle 4, 9
[8] Mt 18, 19-20
[9] Rm 14, 12
[10] Cfr. Mt 18, 6
[11] At 18, 9-10

Canoni.

I.

Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi, o persone, sia anatema.

II.

Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose (12). Se qualcuno non confessa che due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l'altra in questi nostri ultimi tempi (13), quando egli è disceso dai cieli, s'è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia anatema.

III.

Se qualcuno afferma che il Verbo di Dio che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha sofferto, o anche che il Dio Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o che egli è in lui come uno in un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al quale appartengono sia le meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha sopportato nella sua carne, costui sia anatema.

IV.

Se qualcuno dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione, o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato, come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione.

V.

Se qualcuno intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo come implicante più sussistenze, e con ciò tenta introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due persone, da lui introdotte, parla di una secondo la dignità l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo concilio di Calcedonia, quasi che abbia usato l'espressione "una sola sussistenza", secondo questa empia concezione; e non ammette, piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne secondo Ripostasi e che, quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola persona; e che così anche che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del Signore nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto l'aggiunta di una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo, uno della santa Trinità.

VI.

Se qualcuno afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo impropriamente e non secondo verità è madre di Dio, o che ella lo è secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei un semplice uomo, e non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi riferire, secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente all'uomo che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare la vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con ciò che Cristo non sia Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre di Dio, per essersi incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio, generato dal Padre prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di Calcedonia l'ha ritenuta madre di Dio, costui sia anatema.

VII.

Se qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità e nella umanità si deve riconoscere il solo signore nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra, infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi l'unione secondo ipostasi; se costui, dunque, intende tale espressione come una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno, infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza, costui sia anatema.

VIII.

Se uno confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta l'unione, o ammette una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo il senso dei santi padri, cioè che, avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura divina e della natura umana, un solo Cristo ne è stato l'effetto; ma con questa espressione tenta introdurre una sola natura o sostanza della divinità e della carne di Cristo, costui sia anatema. Dicendo, infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo l'ipostasi, noi non affermiamo che si sia operata una confusione scambievole delle nature, ma che, rimanendo l'una e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per questo, la chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono o separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo, sia coloro che le confondono.

IX.

Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo .Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.

X.

Se qualcuno non confessa che il signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria ed uno della santa Trinità, costui sia anatema.

XI.

Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema.

XII.

Se qualcuno difende l'empio Teodoro di Mopsuestia, il quale dice altro essere il Verbo di Dio ed altro il Cristo, sottoposto alle passioni della anima e ai desideri della carne, che si è liberato a poco a poco dai sentimenti inferiori, è migliorato col progresso delle opere, ed è divenuto perfetto nella vita; che è stato battezzato come semplice uomo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, e attraverso il battesimo, ha ricevuto la grazia dello Spirito santo ed è stato stimato degno dell'adozione di figlio, e che, a somiglianza di una immagine dell'imperatore, viene adorato nella persona del Dio Verbo, e dopo la risurrezione è divenuto immutabile nei suoi pensieri e del tutto impeccabile. L'empio Teodoro ha anche detto che l'unione del Verbo di Dio con il Cristo è tale, quale l'apostolo afferma per l'uomo e per la donna: Saranno i due in una sola carne (14). Con altre innumerevoli bestemmie, egli ha osato dire che dopo la resurrezione il Signore quando soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito santo (15), non diede ad essi lo Spirito santo, ma soffiò solo simbolicamente. Egli ha detto anche che la confessione di Tommaso, quella che fece quando, palpate le mani e il costato del Signore, dopo la resurrezione, esclamò: Mio Signore e mio Dio (16), non è stata fatta da Tommaso nei riguardi di Cristo, ma che Tommaso, meravigliato per il miracolo della risurrezione, ha glorificato Dio che aveva risuscitato Cristo. E, ciò che è peggio, anche nel commento da lui fatto agli Atti degli apostoli, lo stesso Teodoro, paragonando il Cristo a Platone, a Mani, ad Epicuro, a Marcione, afferma che, come ciascuno di questi, trovata una propria dottrina, fece sì che i suoi discepoli si chiamassero Platonici, Manichei, Epicurci, Marcioniti, allo stesso modo avendo trovato il Cristo una dottrina, da lui hanno preso il nome i cristiani. Se quindi, qualcuno difende l'empio Teodoro, che sopra abbiamo nominato, e i suoi empi scritti, nei quali egli ha riversato le bestemmie cui abbiamo accennato ed altre innumerevoli contro il grande Dio e signore nostro Gesù Cristo; e non condanna lui e i suoi malvagi scritti, e quelli che lo accettano e lo scagionano, o affermano che ha esposto rettamente la dottrina, quelli che hanno scritto a suo favore e dei suoi empi scritti, quelli che la pensano o la pensarono un tempo come lui, e perseverarono in tale eresia fino alla morte, sia anatema.

XIII.

Se alcuno difende gli empi scritti che Teodoreto scrisse contro la vera fede, contro il primo, santo concilio di Efeso, contro s. Cirillo e i suoi dodici anatemi, e tutto ciò che egli compose in difesa di Teodoro e di Nestorio, empi, e degli altri che professano le loro idee, e li accettano, e accettano la loro empietà, e a causa di essi chiama empi i dottori della chiesa, quelli, cioè, che professano l'unione secondo l'ipostasi del Verbo di Dio; se, dunque, costui non anatematizza gli empi scritti suddetti, e coloro che hanno principi simili a questi, o li hanno avuti, e quanti hanno scritto contro la retta fede, e contro Cirillo, uomo santo, e i suoi dodici capitoli, e chi muore in tale empietà, costui sia anatema.

XIV.

Se qualcuno difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo, incarnatosi nella santa madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo, e afferma che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in modo che altro sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il quale ha predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere scritto come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di Efeso, quasi che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato Nestorio e definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta fede, questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di Nestorio e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende questa lettera, e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti dicono che essa, o anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e scrivono in suo favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano di giustificarla con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia anatema.

Fatta, dunque, a questo modo la professione delle verità, che abbiamo ricevuto sia dalla divina Scrittura, sia dall'insegnamento dei santi padri, e da quanto è stato stabilito intorno all'unica e vera fede dai predetti quattro sinodi; e pronunciata anche la condanna contro gli eretici e la loro empietà, e inoltre contro quelli che o hanno scusato o tentano di scusare i tre capitoli di cui abbiamo parlato, e che hanno perseverato e continuano a perseverare nel proprio errore; se qualcuno tentasse di trasmettere, insegnare, o scrivere alcunché in opposizione con quanto noi abbiamo disposto, se questi è vescovo o chierico, poiché agisce in modo alieno da quello proprio dei sacerdoti e dello stato ecclesiastico, sarà spogliato della sua dignità vescovile o di chierico; se poi fosse monaco o semplice laico, sarà anatema.

 

_______________

Note
[12] Cfr. I Cor 8, 6
[13] Cfr. Eb 1, 2
[14] Ef 5, 31
[15] Gv 20, 22
[16] Gv 20, 28

 

Nota di redazioneLa qualifica di cattolicità (e il nome di cattolico, dal greco καθολικός katholikós, "generale" o "universale") è adoperata fin dai primi secoli della Cristianità per descrivere la Chiesa fondata da Gesù Cristo. Apostolica, perché è basata sull'insegnamento degli apostoli.

 

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